«Non si fanno sprechi, si riutilizza e si dà una seconda vita all’abbigliamento». Chi partecipa a uno Swap party lo sa. Si tratta di incontri in cui ogni partecipante porta con sé capi che non indossa più e li baratta con indumenti di altri. Di pari valore.
Solo scambio
Niente denaro, dunque. Piuttosto, gettoni colorati che sono associati agli abiti messi in circolo e che si vogliono scambiare. Su depliant o su un cartellone sarà poi indicato il valore corrispettivo di ogni indumento e il gioco è presto fatto.
Una tradizione importata
Si tratta di una moda che arriva dagli States ma che ha preso piede anche in Europa. In fondo, si sa che circa un terzo del guardaroba – invernale o estivo che sia – non viene utilizzato: resta in un angolo dell’armadio e, al massimo, gli ci cade sopra l’occhio e quel pensiero del tipo “prima o poi lo metterò”. In realtà, più spesso ciò non avviene e il capo finisce con l’accumulare spazio e nient’altro. Perciò, per evitare che gli indumenti inutilizzati restino solo a occupare spazio, perché non darli via?
Un’attitudine green
Non ci si guadagna in termini monetari con gli Swap Party, ma si può rinnovare il guardaroba a costo zero. Il termine “to swap” viene appunto dall’inglese e significa “scambiare” ma, in buona sostanza, partecipare a uno Swap vuol dire muoversi in controtendenza rispetto a un’industria – quella della moda – che è tra le più inquinanti al mondo: seconda solo a quella del petrolio.
Anche qui in Italia
Una moda, quella dei party del baratto, che sta prendendo piede tra gli amanti dei mercatini dell’usato e del vintage, arcinota a New York ma ora assai praticata anche a Milano, Torino, Firenze, Roma e Napoli. In origine era solo una consuetudine legata alle signore dell’upper class americana – che erano solite scambiarsi capi firmati -; poi, è diventata prassi comune anche in differenti strati sociali che, nello Swap, trovano risparmio e svago.
Come funziona
Lo Swap Party funziona così: se si conta di avere molti ospiti, si cerca una sede idonea e pratica per gli spostamenti. Se al contrario si opta per pochi inviti, anche casa propria può andare bene. Chi organizza deve stabilire quanti capi a testa gli ospiti possano portare e attribuire al partecipante dei punti per tutto ciò che si è messo in condivisione. Regola base: che gli abiti siano tutti in perfette condizioni. Lo swapping non ha niente a che fare con la sciatteria: chi baratta ha cura di ciò che rimette in circolo, non ama lo spreco e pensa, semmai, alla salvaguardia dell’ambiente.
Svago e amicizia
E non dimentichiamo – aspetto collaterale ma di certo non trascurabile – gli Swap Party sono anche preziose occasioni per socializzare. Cosa c’è, infatti, di meglio che ritrovarsi ad un appuntamento con persone che, per altro, condividono la nostra idea di riuso e condivisione?
Solidarietà
Ultimo, ma non da meno, il fattore solidale. In tante circostanze chi organizza uno Swap può decidere di conservare – col consenso preventivo dei partecipanti – ciò che non è stato scambiato per futuri incontri; altre, di comune accordo con gli ospiti, scegliere di donare i capi non barattati a enti di beneficienza, singole realtà già individuate o semplicemente a persone che ne possano avere bisogno.
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