“Les écouteurs de rues” è un’associazione nata nel 2019. Come i “Sidewalk Talk” americani, portano la psicoterapia fuori dagli ambulatori per rendere la cura di sé accessibile a tutti Tra i volontari, non mancano terapisti in pensione
Si chiamano “Les écouteurs de rues”, letteralmente “ascoltatori di strada”: sono psicoterapeuti volontari, che cinque anni fa hanno iniziato a comparire sulle strade di Parigi, precisamente nel quartiere Goutte d’Or, nel 18° Arrondissement, per poi diffondersi in altre città francesi. Oggi sono operativi anche a Rennes e Nantes. Si tratta di veri e propri terapisti, per lo più di formazione Gestalt, che prestano ascolto non tra le quattro mura di uno studio, ma nei parchi e sui marciapiedi cittadini. Un servizio offerto gratuitamente, per assicurarlo a chi, altrimenti, non potrebbe permetterselo.
Non ci sono divani né lettini, ma due sedie e una bandiera, per segnalare la presenza e la disponibilità di un “ascoltatore”, riconoscibile grazie a un bracciale colorato che indossa al polso. Non c’è lista d’attesa, non serve appuntamento: chiunque può fermarsi a parlare, per condividere un pensiero o una preoccupazione, esprimere un dubbio o un malessere, comunicare un’emozione. Semplicemente, entrare in relazione e ricevere, se serve, un consiglio o un aiuto. L’incontro può durare fino a 20 minuti e avviene in un clima informale. Ogni sessione dura in tutto due ore ed è affidata a cinque volontari, tutti psicologi e psicoterapeuti professionisti, che non svolgono però sedute terapeutiche strutturate, ma si pongono come ascoltatori attivi e partecipi.
Non ci sono requisiti per essere ammessi agli incontri, che sono invece aperti a tutti, indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali. «Questo lavoro di ascolto e questa presenza di professionisti della salute mentale nello spazio pubblico può aiutare a comprendere che prendersi cura di sé, parlare di sé, entrare in relazione ed esistere di fronte agli altri è una dinamica positiva e costruttiva», spiegano i promotori dell’iniziativa. L’obiettivo, in sintesi, è rendere la salute mentale accessibile a tutti: non solo dal punto di vista economico, ma anche sotto il profilo ambientale, sociale e culturale. Il progetto nasce dall’idea di Séverine Bourguignon, un’artista e terapista di Parigi. Durante un’esperienza artistica sul territorio, Bourguignon rilevò il bisogno diffuso di un ascolto attivo, a cui tutti potessero aver accesso, a partire da coloro che fino a quel momento non avevano potuto fruirne, per ragioni economiche, o per una resistenza psicologica o culturale. Scoprì, quasi per caso, l’esperienza dei “Sidewalk Talk”, l’associazione nata proprio pochi anni prima a San Francisco: qui, nell’autunno del 2014, due terapeuti locali avevano dato vita a spazi di ascolto e confronto sui marciapiedi della città, per rispondere a solitudine, violenza e diseguaglianza, sempre più dilaganti. Il 7 maggio 2015, ventotto ascoltatori erano scesi in strada per la prima volta. Séverine Bourguignon riprese, reinterpretò e importò a Parigi quell’esperienza.
“Poiché la tua parola ha valore, qui ti ascoltiamo!”, è lo slogan dell’associazione, che circa una volta al mese scende in strada con i suoi volontari e invita i passanti a raccontarsi. “Tutto bene?”, “Come stai?”, “Ti va di parlare un po’?”: un approccio semplice e confidenziale, per conquistare attenzione e fiducia. C’è chi tira dritto, chi sbircia da lontano, chi si ferma a leggere i cartelli che spiegano, in poche parole, a cosa servano quelle sedie. Tra i volontari, ci sono giovani e meno giovani: Béatrice, per esempio, è una business coach (allenatore aziendale, ndr) in pensione.
Tanti i problemi che si trovano ad ascoltare: violenze, difficoltà economiche, lavorativi, familiari. «Il pubblico a cui ci rivolgiamo è vario – spiega Séverine Bourguignon -. A volte si tratta di migranti con traumi multipli, stupri, torture, altre volte di famiglie in cui il dialogo tra genitori e figli si è interrotto. Stare per strada permette anche di attirare un’utenza maschile, che con più difficoltà si avvicina alla terapia clinica». A volte una soluzione non c’è, ma la possibilità di essere ascoltati e di condividere dubbi e preoccupazioni è per tutti di grande sollievo. Altre volte i volontari riescono a offrire una soluzione, a indicare una via d’uscita, o semplicemente fanno da ponte con associazioni o istituzioni che possono essere di aiuto. Ciò che conta è il rapporto che si crea e che rompe la solitudine: «La relazione tra l’ascoltatore e la persona ascoltata si stabilisce immediatamente e le storie diventano subito intime – spiega ancora Bourguignon -. La riservatezza che si può avere in uno studio si può garantire facilmente anche fuori, dove le parole sono coperte dal tumulto della strada!».
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