Studiare le lingue aiuta il cervello a restare in forma e a creare nuove connessioni neuronali. Una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Neurology ha dimostrato che le persone che sanno parlare più lingue tendono meno dei soggetti “monolingue” a sviluppare patologie come la demenza e l’Alzheimer. Lo studio ha preso in esame soggetti che parlano solo la lingua madre e altri che ne praticano due o più. Questi ultimi hanno manifestato sintomi patologici con almeno quattro anni di ritardo rispetto al primo gruppo.
Come agisce lo studio delle lingue sul cervello?
La conoscenza delle lingue influirebbe infatti su alcune aree del cervello che aiutano a frenare l’insorgere di alcune forme di demenza. Analizzando le risonanze magnetiche delle persone prese a campione, si è visualizzata una crescita dell’ippocampo e di altre tre aree della corteccia cerebrale.
La working memory
Un altro aspetto importante legato allo studio delle lingue straniere è il miglioramento della memoria che viene definita come working memory. Quella “parte” di materia grigia in grado di attivarsi quando si svolgono attività cognitive complesse e che serve a manipolare gli stimoli esterni collegandoli alle informazioni che abbiamo immagazzinato nella memoria a lungo termine.
La conoscenza di più di una lingua sviluppa anche la capacità di attenzione. Nello specifico, una ricerca dell’Università di Birmingham ha confrontato due gruppi di soggetti per valutarne la risposta a stimoli differenti. Del primo gruppo facevano parte persone monolingue, del secondo i bilingue e multilingue. I risultati hanno mostrato come il secondo gruppo avesse tempi di risposta più brevi a parità di condizioni, come se la padronanza di più di una lingua avesse implementato la capacità di mantenere più a lungo la concentrazione.
“Alcuni studi hanno rilevato un rapporto positivo fra l’apprendimento delle lingue e la riduzione della demenza” ha dichiarato Maria Cecile Luise, docente di Didattica delle lingue moderne all’Università di Udine. “Gli over 65 oggi sono caratterizzati dall’essere persone attive, indipendenti, coinvolte in relazioni sociali positive. Oggi gli anziani usano gli strumenti informatici e si spostano più di un tempo: questo li mette in diretto contatto con altre lingue e culture.”
Scaffolding
Se l’età è vista spesso come un ostacolo a questo tipo di apprendimento, il possibile declino di alcune facoltà può invece essere compensato con una serie di strategie legate alla percezione del sé e dalle modalità di relazione con il mondo. L’ateneo di Udine, insieme a quello di Bari, ha sviluppato un modello che sfrutta questi elementi neurologici, emotivi e psicologici che la ricerca attribuisce alla mente e alla personalità dell’anziano per sostenerlo nell’apprendimento di una lingua. Il termine è “scaffolding”, ossia sostegno, ed è alla base del libro di testo ideato dai ricercatori per gli studenti della terza età, che viene stampato con caratteri più grandi e con esercizi da svolgere “in differita” e attraverso esperienze che suscitino emozioni positive tali da favorire la memorizzazione.
© Riproduzione riservata