In un rapporto di 1400 pagine il parlamento giapponese ha svelato le conseguenze dell’applicazione della cosiddetta “legge di protezione eugenetica”, in vigore nel Paese tra il 1948 e il 1996.
Circa 25 mila persone, ritenute affette da una malattia o da una disabilità intellettiva furono sottoposte, in quell’arco di tempo, a sterilizzazione forzata. Il documento fornisce nuovi dati soprattutto in merito all’assoluta mancanza di consenso da parte dei due terzi delle persone “trattate” (donne in larga maggioranza, ma anche bambini) e alla insufficiente informazione di quanti pure espressero il proprio consenso.
La legge del 2019 e il risarcimento
Sono indagate nel dettaglio anche le conseguenze degli interventi. Persone impossibilitate ad avere figli pur volendoli, afflitte da persistenti dolori post-operatori e discriminate nelle relazioni sociali e sentimentali per via della loro “menomazione”. Il rapporto, tuttavia, non specifica con chiarezza le ragioni per cui la legge del 1948, introdotta dal Partito Socialista per scongiurare la nascita di individui malati e considerati “inferiori”, sia rimasta in vigore per quasi mezzo secolo. Una legge del 2019 (la stessa che ha decretato la compilazione del rapporto) prevede per le persone sterilizzate un risarcimento pari a 3,2 milioni di yen, equivalenti a circa 20mila euro, fissando però ad aprile del 2024 il termine ultimo per richiedere la somma. Solo mille persone hanno finora avanzato richiesta, ragion per cui le organizzazioni a tutela dei diritti umani chiedono una proroga del termine, necessaria per intensificare la campagna informativa.
Sterilizzazione forzata anche in Europa
La pratica delle sterilizzazioni forzate non è un fenomeno solo giapponese né solo storico. Altri Paesi l’hanno attuata in passato e, secondo l’European Disability Forum, la consentono attualmente – malgrado l’esplicito divieto di alcuni trattati internazionali e in particolare della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza sulle donne – almeno quattordici Paesi europei. Austria, Bulgaria, Croazia, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Malta, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria.
Secondo la stessa associazione non governativa, tre Stati europei (Repubblica Ceca, Ungheria e Portogallo) autorizzano la sterilizzazione anche su persone minori; e in almeno altri tre (Belgio, Francia e Ungheria) l’uso della contraccezione o della sterilizzazione può essere un requisito per l’ammissione alle strutture residenziali per persone con disabilità. In un recente reportage il quotidiano spagnolo El País ha raccontato come in Spagna la sterilizzazione forzata su donne disabili, vietata dalla fine del 2020, sia stata in precedenza praticata ricorrendo spesso all’inganno (pazienti convinte di subire altre operazioni o costrette a firmare il consenso sul lettino operatorio, quando erano intontite dall’anestesia). In Germania, da una statistica del 2017, risultava che il 17% delle donne con disabilità era stata sottoposta a sterilizzazione.
La sterilizzazione forzata in Italia
In Italia la sterilizzazione forzata non è punita come reato specifico, ma può essere perseguita in base all’ articolo 583 del codice penale quale circostanza aggravante delle lesioni personali. Anche se non ci sono dati ufficiali, casi specifici portati all’attenzione dei tribunali segnalano che la sterilizzazione o la contraccezione forzata sulle donne disabili avviene, dissimulata sotto le spoglie di altri interventi e giustificata da esigenze terapeutiche o condizioni di indigenza che non consentirebbero alla donna incinta un’adeguata assistenza. Dove non arriva l’eugenetica, fanno danni l’individualismo e la sempre più labile rete dello Stato sociale.
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