Le conquiste della medicina e della biologia hanno portato indiscutibili vantaggi a favore del singolo e della comunità. Vantaggi che oggi inducono “anni possibili” nella vita delle persone, anche in tarda età
Quante volte ci è capitato di pensare e di sperare per noi, e per persone a noi vicine, che avremmo la possibilità di stare meglio, anche quando le circostanze invece limitano la nostra salute e il nostro benessere. Spesso, però, vediamo attorno a noi persone che non hanno nemmeno il coraggio di ipotizzare un miglioramento della loro salute e si adagiano sulla condizione del momento, senza pensare di poter cambiare la propria vita.
Ripensando a queste dinamiche, ho letto con attenzione gli articoli di un giornale che hanno riportato la vicenda di un piemontese di 83 anni, il quale ha subìto un intervento chirurgico molto complesso, che gli ha permesso, attraverso un autotrapianto compiuto con tecniche raffinate e molto avanzate, di riacquistare la vista dopo tanti anni di cecità.
Prima ancora di proporre commenti generali sulla vicenda, mi sono interrogato sulla forza d’animo di un signore non più giovane che ha accettato di correre i rischi, e le relative fatiche, di un intervento oculistico perché ha voluto così riaffermare a sé stesso che erano possibili per lui anni migliori. È una patologia coltivare la speranza di costruire “anni possibili” attraverso la medicina? Credo, al contrario, sia un segnale di realismo: perché non posso ipotizzare di vivere meglio attraverso le occasioni, oggi numerose e valide, che offre la tecnologia e la clinica? La vicenda del signore che riacquista la vista può essere avvicinata a quella di altri anziani che sono interessati, ad esempio, ad un trapianto d’organo che permette loro di vivere più a lungo, in buone condizioni, anche se con qualche limitazione. Oppure a quella di chi non si sottrae a interventi dal risultato non sempre certo, ma che potenzialmente aprono a condizioni di vita migliori. Il punto centrale è definire il rapporto costo-beneficio, che si colloca a livelli profondamente diversi nelle varie età e che è diverso per ciascuna persona. In quest’ottica il beneficio è costituito soprattutto da una visione ottimista del futuro, che si esprime anche nell’affrontare le possibili conseguenze negative di una decisione.
Altre considerazioni sono invece di carattere più generale; la prima consiste nel prendere atto, nonostante il pessimismo diffuso, che non è mai troppo tardi per riacquistare una funzione perduta; la biologia umana conserva sempre un certo livello di plasticità, anche in tarda età. Ovviamente questo livello dipende per gran parte dalle malattie eventuali, dal tipo di alimentazione, dall’attività fisica; nessuno è uguale ad un altro, anche riguardo alla conservazione della plasticità che, seppure in modo limitato, è una caratteristica profondamente inverata nella nostra struttura biologica. È importante creare un consenso diffuso attorno a questi concetti, per evitare inutili pessimismi e rinunce rispetto a potenziali conquiste. “Io sono troppo vecchio per godere del progresso”: un’affermazione frequente, che non indica realismo, ma un fondo di rinuncia, che talvolta sfocia anche nella depressione.
Altra considerazione riguarda una lettura oggettiva dei grandi progressi della medicina degli ultimi anni; anche le età avanzate ne hanno guadagnato, perché si sono aperti mondi possibili, mai prima d’ora nemmeno ipotizzati. Dobbiamo gratitudine agli studiosi che hanno favorito questi enormi progressi; i filoni della tecnologia meccanica ed elettronica, insieme alla biologia più avanzata e all’intelligenza artificiale nelle sue varie espressioni, hanno reso possibile una vita lunga, come non era mai avvenuto nella storia umana, ed anche una vita più libera e dignitosa a tutte le età. Se qualcuno è critico verso le concrete conquiste della medicina e della biologia, forse per proprie esperienze personali non favorevoli, non è legittimato a negare la realtà senza tenere in conto i vantaggi raggiunti nell’interesse del singolo e della comunità. Vantaggi che oggi concretamente inducono “anni possibili” nella vita delle persone, anche in tarda età.
Marco Trabucchi è specialista in psichiatria. Già Professione ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università di Roma “Tor Vergata”, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e direttore del Centro di ricerca sulla demenza. Ricopre anche il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e della Fondazione Leonardo.
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