Dare una seconda vita agli scarti prodotti dallo spreco alimentare, una delle principali sfide per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità globale, è possibile. E ci sono molti esempi: gli agrumi per creare tessuti, gli scarti del pane per fare la birra, le bucce di mela per le creme per la pelle, il mais per creare stoviglie. La tutela dell’ambiente offre molteplici possibilità per fare innovazione e trovare nuove soluzioni più rispettose del pianeta.
Ma partiamo dai dati: ogni anno un terzo delle risorse in tutto il mondo viene sprecato. Mentre in Italia, secondo l’Osservatorio internazionale Waste Watcher, lo spreco alimentare domestico è pari a 2,132 milioni di tonnellate, con un incremento del 32,6% in soli due anni. Assumendo come peso medio del pasto 500 gr, stimato dal Report 2024 dell’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), lo spreco alimentare domestico italiano si traduce in 4,26 miliardi di pasti sprecati ogni anno. Considerando l’aumento della popolazione italiana in condizioni di povertà alimentare, 6 milioni pari al 10% degli italiani (secondo i dati Istat), con i 4,26 miliardi di pasti sprecati si potrebbe dar da mangiare a ben 3,89 milioni di persone, più della metà di coloro che versano in una situazione di povertà alimentare.
Un problema etico e sociale, ma che ha anche un impatto significativo sull’ambiente, poiché la produzione di cibo richiede il consumo di risorse naturali e contribuisce in modo consistente alle emissioni di gas serra, aggravando la crisi climatica. Insomma, lo spreco alimentare è una delle principali sfide che l’umanità deve affrontare, non solo per raggiungere gli obiettivi delle Nazioni Unite che impongono di dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030, ma anche per combattere le disuguaglianze sociali in un mondo in cui l’accesso al cibo resta una questione critica.
Tuttavia oggi qualcosa sta cambiando, complice anche la moda che sta evolvendo verso stili di vita sempre più consapevoli e attenti alla tutela del pianeta. Come succede in Sicilia dove è nata la prima fibra tessile al mondo prodotta dagli scarti della produzione di agrumi. Il processo è semplice. Dalle bucce delle arance, che derivano dalla produzione in eccedenza e dagli scarti di lavorazione, attraverso un procedimento chimico, viene estratta la cellulosa che diventa così una nuova materia prima che le industrie tessili possono trasformare in tessuti totalmente biodegradabili.
Non solo è possibile vestirsi di arance, ma possiamo anche curare la nostra pelle e i nostri capelli con gli scarti delle mele. Le bucce e i semi di mele, che vengono scartati nel processo di produzione di succhi biologici, vengono trasformati in pasta di mele, un ingrediente funzionale e naturalmente antiossidante, che viene utilizzato per la creazione di una linea di cosmetica vegana.
Oggi con il pane vecchio non solo è possibile fare tante ricette della nostra cucina regionale, ma addirittura la birra: con 150 kg di pane si riescono a produrre 2.500 litri di birra. In questo modo, oltre a contrastare lo spreco, si utilizza il 30% in meno di malto d’orzo e si risparmiano 1.365 kg di emissioni di anidride carbonica.
Parlando di economia circolare, una delle innovazioni che sicuramente vi sarà capitato di avere tra le mani, è l’utilizzo delle fibre di mais per creare stoviglie compostabili, un’idea che contribuisce a ridurre con facilità la quantità di plastica monouso che soffoca il nostro pianeta. Le fibre di mais, derivate dal processo di produzione del cereale e dai suoi scarti, come la crusca, rappresentano una soluzione naturale ed efficace per realizzare piatti, bicchieri e posate biodegradabili e compostabili, a differenza della plastica che impiega centinaia di anni per decomporsi. Proprio a febbraio, il mese in cui ricorre la Giornata nazionale della prevenzione dello spreco alimentare, è importante ricordare che anche i nostri gesti possono migliorare le cose: come, ad esempio, chiedere la “doggy bag” quando rimangono avanzi dei nostri piatti al ristorante.
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