Negli ultimi 10 anni la popolazione delle aree interne del paese ha avuto un calo del 7,7%. Più di 13 milioni di italiani vivono senza le infrastrutture essenziali: salute, istruzione, mobilità. Le politiche di intervento
Lo spopolamento dei borghi italiani nelle aree interne corre ormai a velocità supersonica. Del resto nell’analisi dei fenomeni demografici – ricorda l’Istat – il territorio è un fattore determinante: le sue caratteristiche, anche geografiche, infatti, condizionano la permanenza o meno della popolazione. In base alla mappatura relativa al ciclo di programmazione 2021-2027 della SNAI, le aree interne comprendono 4000 Comuni, il 48% del totale, territori vulnerabili nei quali i fenomeni come l’invecchiamento della popolazione e l’abbandono dei territori a causa delle migrazioni, sono più rilevanti.
Le aree interne
I comuni italiani corrispondenti alle aree interne sono quelli caratterizzati da una bassa offerta scolastica, da collegamenti ferroviari scadenti e dalla scarsità o mancanza di servizi ospedalieri di emergenza. È naturale quindi che in queste zone si concentri quel calo della popolazione che peraltro dal 2014 ad oggi interessa tutto il paese. La diminuzione è maggiore soprattutto nei piccoli borghi del Sud (-6,3% pari a 483mila persone) e minore in quelli del Centro-Nord (rispettivamente -2,7% e – 4,3%, 100mila abitanti in meno).
Le cause del declino demografico
Alla base dei numeri il significativo calo delle nascite ( -36,1%, molto sotto il livello nazionale), in parte contrastato dall’aumento generalizzato della speranza di vita dopo i 60 anni di età, più accentuato nelle aree più periferiche. Probabilmente perché in queste zone è maggiore la qualità di vita, anche in mancanza dei servizi essenziali. Peraltro, lo spopolamento è favorito dall’aumento dei flussi migratori, soprattutto dei giovani del Mezzogiorno in possesso di un titolo di studio, verso centri maggiori.
Il saldo migratorio in passivo
L’abbandono dei piccoli borghi, che rispecchia il tasso migratorio nazionale, verso il Nord Italia o verso l’Estero, incide notevolmente sul declino demografico. Questa fuga non è però compensata da un adeguato rientro. Nei borghi sotto i mille abitanti la fascia di stranieri tra 15 e 64 anni è pari all’8,6% della popolazione e gli under 11 figli di stranieri rappresentano il 9,2%. Per questo ha un forte impatto negativo sulle aree interne, accentuandone l’invecchiamento. Neanche il tasso di immigrazione degli stranieri che nei piccoli centri è inferiore alla media nazionale, riesce infatti a compensare il deficit. L’Istat calcola, infatti, che nei comuni più periferici attualmente per 100 bambini under 15 ci sono 243 over 65 che costituiscono il 26,8% degli abitanti.
Il futuro dei piccoli borghi
Le previsioni sul futuro confermano lo spopolamento in atto. Sempre secondo l’Istat tra 10 anni quasi il 90% dei Comuni delle Aree interne del Mezzogiorno subirà un calo demografico, con quote che raggiungeranno il 92,6% nei Comuni più isolati. Ma i piccoli borghi, anche quelli più interni, possono essere molto attrattivi e offrire nuove chance di lavoro. A questo lavora da tempo il governo con le strategie della Snai che ha già finanziato numerosi progetti di valorizzazione del territorio, dai Nebrodi alla Tuscia. L’obiettivo è di migliorare settori fondamentali per lo sviluppo, come scuole, trasporti, sanità, migliorando l’interazione e la coesione tra i piccoli comuni. Una strategia efficace per nuove opportunità economiche in grado di invertire il trend dello spopolamento. Parole come turismo sostenibile, agricoltura integrata e economia circolare sono il vero futuro dei borghi italiani.
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