Abbiamo scritto questo articolo durante un’ondata di caldo fuori stagione, un’anomalia che sta diventando sempre più comune. Fuori, le foglie sono appena spuntate sugli alberi e le giornate iniziano ad allungarsi, ma per strada c’è un’afa estiva. I bar all’aperto e le gelaterie sono pieni di gente, al parco si giocano partite di pallacanestro e di ping pong, gruppi di bambini si rincorrono urlanti, coppie in maniche corte e occhiali da sole passeggiano mano per la mano. Si respira un’aria allegra, contagiosa, in felice contrasto con le settimane grigie e opprimenti che l’hanno preceduta.
Anche se è difficile per i climatologi stabilire un rapporto causa-effetto tra un singolo evento e la crisi climatica, l’aumento di fenomeni di questo genere è legato alle emissioni di origine antropica, cioè quelle prodotte dall’uomo, nell’atmosfera. Meteorologi e climatologi formulano previsioni basandosi su dati che provengono da sistemi complessi e interconnessi tra loro, come l’atmosfera, gli oceani e i continenti, e dunque sono in grado di definire probabilità e non certezze. Ma un fatto è assodato: il cambiamento climatico sta rendendo le temperature più alte della media, oltre a una serie di altri fenomeni estremi e spesso distruttivi, sempre più frequenti.
Negli ultimi anni gli psicologi hanno notato l’esistenza di un tipo specifico di disagio psichico, definito ansia climatica: una risposta alla crescente consapevolezza riguardo ai cambiamenti climatici e alle loro potenziali conseguenze per noi, per il pianeta e per le generazioni future. Un’ansia che si manifesta in vari modi e che è accentuata da giornate con temperature fuori dalla norma, esacerbata dalla percezione che il clima sta già effettivamente cambiando. Ci fa provare sentimenti di impotenza, preoccupazione persistente, paura per il futuro, stress causati dalla sensazione che il problema sia di tale portata da essere insormontabile e fuori dal nostro controllo. Uno stato emotivo che appare congruo alla gravità del fenomeno, ma che può anche rivelarsi controproducente, gettandoci nella disperazione o nel nichilismo.
Se l’ansia climatica è un’emozione che bisogna imparare a domare, più difficile è capire come gestire una condizione più insidiosa. Come comportarsi quando gli effetti del cambiamento climatico sono positivi? È giusto o anche solo possibile godersi un caldo fuori stagione, sapendo che probabilmente è il risultato di questi cambiamenti? Soprattutto quando sappiamo di non stare ancora facendo abbastanza per contrastarne i ben più numerosi effetti negativi?
Ovvero, come districarsi in quella che gli psicologi chiamano dissonanza cognitiva, un concetto che si riferisce alla tensione che una persona avverte quando è incastrata tra due o più idee, valori o comportamenti contraddittori tra loro? È una condizione di tale disagio che di solito cerchiamo di risolverla, senza neanche accorgercene, modificando una delle credenze o comportamenti in conflitto, o giustificandoli a noi stessi in modo da rendere la loro coesistenza più accettabile.
In questo caso, ad esempio, saremmo tentati di ricorrere a due strategie. Un primo impulso potrebbe essere quello di cercare di scacciare il timore o la tristezza, o persino una sensazione di perdita “anticipata”, legati ad un clima che ci sembra fuori controllo, convincendoci che non c’è nulla che possiamo fare e che il futuro è un problema lontano, davanti a cui l’unica opzione è rimanere indifferenti. La seconda strategia potrebbe essere, invece, quella di sopprimere il desiderio di goderci il presente e le emozioni positive che lo accompagnano. Uno dei metodi più efficaci di cui disponiamo è il senso di colpa. Ci convinciamo che è incongruo provare allegria, perché il cambiamento climatico causerà grande sofferenza, e dunque non abbiamo il diritto di stare bene. Di più: stare bene è moralmente sbagliato.
È uno schema di reazioni che usiamo, consapevolmente o no, per sfuggire all’ambiguità che ci insegue ovunque nelle nostre vite. Siamo cronicamente incapaci di rimanere nel disagio e nella complessità, cerchiamo scorciatoie, soluzioni, modi per liberarci dall’imbarazzo di non possedere interpretazioni univoche e inattaccabili della realtà che ci circonda. Ci riesce ben più facile decidere di dimenticare verità scomode: un futuro che ci fa paura, la sensazione di non avere il controllo degli eventi, il rischio inevitabile della perdita. Siamo altrettanto bravi a lasciarci sfuggire occasioni di gioia, o addirittura di felicità, perché incapaci di farle quadrare nella nostra lettura rigida degli eventi, delle cause, delle dinamiche che ci circondano, del modo stesso in cui dovremmo vivere.
Ha detto lo scrittore Francis Scott Fitzgerald – autore de Il grande Gatsby – che il «banco di prova di un’intelligenza di prim’ordine è la capacità di tenere due idee opposte in mente nello stesso tempo e, insieme, di conservare la capacità di funzionare». Forse alcune contraddizioni non possono essere risolte: a volte, l’abilità più preziosa sta nella capacità di non correre a cercare una risposta.
Gianrico Carofiglio (Bari, 1961) ha scritto racconti, romanzi e saggi. I suoi libri, sempre in vetta alle classifiche dei best seller, sono tradotti in tutto il mondo. Il suo romanzo più recente è L’orizzonte della notte.
Giorgia Carofiglio (Monopoli, 1995) si è laureata in Teoria Politica presso la University College London. Ha lavorato in un’agenzia letteraria e collabora con case editrici.
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