Fondente, al latte, bianco, come si può resistere a una barretta di cioccolato? Impossibile. Anche se, a dire il vero, stando ad un recente studio del Codacons, il cioccolato ha un sapore sempre più amaro. Complice il cambiamento climatico e le malattie ad esso collegate, che colpiscono le piante riducendone la produzione, i prezzi del cacao sono volati alle stelle, con un rincaro del 52%.
C’è poi un altro problema alla base della catena di approvvigionamento del cacao, perché ogni volta che qualcuno mangia una tavoletta di cioccolato, un albero viene abbattuto.
La filiera del cacao, come quella del caffè e di altre materie prime, è tra le più problematiche in termini di sostenibilità sociale e ambientale.
L’albero del cacao, originario del Sud America, prospera solo in un clima caldo e umido, il che comporta una notevole impronta ambientale del nostro amato cioccolato. Dalla coltivazione alla raccolta, passando per la lavorazione, il trasporto e il confezionamento, ogni fase della sua produzione emette gas serra: circa cinque chili di CO2 per ogni chilo di cioccolato.
La maggior parte di queste emissioni, circa il 70%, proviene dalla produzione di cacao, perché per soddisfare la domanda globale, i produttori spesso disboscano foreste primarie, in particolare in Africa occidentale.
Ad esempio, la Costa d’Avorio, il più grande esportatore di cacao, con 2,2 milioni di tonnellate l’anno, ha perso l’80% delle sue foreste negli ultimi sessant’anni. Inoltre, la coltivazione del cacao richiede una grande quantità di acqua: per una singola tavoletta di cioccolato sono necessari 3.400 litri d’acqua. C’è poi da fare i conti con le ingiustizie sociali della filiera del cioccolato.
Un’indagine svolta in Costa d’Avorio e Ghana dall’Università di Chicago ha svelato che il lavoro minorile nella catena di produzione del cacao interessa circa 1,56 milioni di bambini, pagati peraltro una miseria: i più piccoli vivono sotto la soglia di povertà, guadagnando appena 1,25 dollari al giorno.
E allora c’è un modo per continuare a mangiare il nostro cioccolato senza farsi prendere dall’ecoansia? A quanto pare, un buon indicatore è la nuova pratica artigianale, che viene dall’estero ma che sta conquistando anche l’Italia, che si chiama bean to bar, dalla fava alla tavoletta.
Gli artigiani cioccolatieri che utilizzano questa tecnica lavorano il chicco grezzo e lo trasformano nel loro laboratorio, tagliando così le emissioni lungo tutta la filiera della produzione. Filiera corta, lavorazione artigianale delle fave crude, tostatura, trasformazione in massa di cacao, e tutti gli altri passaggi necessari per arrivare alla tanto agognata tavoletta, quella del bean to bear non è solo una tecnica di lavorazione, ma un vero e proprio movimento nato negli Stati Uniti che ha ispirato artigiani in tutto il mondo.
Ma anche nella galassia del cioccolato si muovono frange radicali non del tutto convinte che una produzione più etica possa essere davvero sufficiente a evitare le ingiustizie sociali diffuse nella catena di approvvigionamento del cacao. Come nel caso del movimento “Alt-Choc”, che propone ai consumatori un’alternativa al cioccolato tradizionale che elimina direttamente il cacao dalla ricetta.
Un cioccolato ‘cacao-free’ che è stato lanciato da alcune start up innovative negli Stati Uniti e nel Regno Unito, che utilizzano ingredienti come semi d’uva, farina proteica di girasole, cereali e legumi per produrre il loro cioccolato alternativo.
E se il cioccolato vegano senza cacao – che è a dirla tutta non può essere definito “cioccolato” – non vi convince, c’è sempre quello coltivato in laboratorio, che viene direttamente dalla California. Qui è stato sviluppato un processo di coltura cellulare analogo a una qualsiasi coltivazione di frutta, dove vengono addirittura ricreate le condizioni ambientali della foresta pluviale. Stavolta il risultato è cioccolato a tutti gli effetti, con la sola differenza che per mangiare quel cioccolatino coltivato in laboratorio, nessun albero è stato abbattuto e nessun bambino è stato sfruttato.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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