Il passare degli anni talvolta comporta riduzioni della funzione motoria e problematiche cognitive. Alcune statistiche indicano che in Italia sono più di tre milioni le persone che hanno bisogno di supporto perché la loro vita sia “possibile”, non dominata da limiti, ma caratterizzata da libertà e dignità.
Sono supporti che modificano la traiettoria della non autosufficienza e della malattia, rendendo normali (“possibili”) anche gli anni di chi è in difficoltà; un supporto che crea legami stretti tra chi aiuta e chi è aiutato.
Nel nostro tempo, quando il mondo è caratterizzato da crisi di ogni tipo (sanitario, economico, bellico ecc.), la fragilità delle persone anziane diviene ancora più evidente, perché si assommano condizioni di salute somatica precaria a difficoltà psicologiche. Peraltro, oltre a questi fattori legati all’individuo, crescono sempre più evidenti le problematiche delle comunità, ad esempio la diffusa sensazione che valga più l’io rispetto al noi. Inoltre, sono sempre più frequenti condizioni di crisi, come la drammatica riduzione della forza lavoro da impiegare nei servizi (mancano medici, infermieri, oss negli ospedali, nell’assistenza domiciliare, nelle RSA). Nei pensieri dei cittadini, in questo scenario si fanno strada prospettive angoscianti e la paura per il futuro domina la giornata. Di fatto, si vedono realisticamente ridursi le possibilità perché gli “anni possibili” lo siano davvero per molte persone in difficoltà.
È possibile contrastare questi pensieri maligni, che rischiano di allargarsi progressivamente, fino a dominare la vita di milioni di persone? Sono utili alcune indicazioni, perché il successo dipende in gran parte dall’impegno dei singoli e delle comunità.
Un primo aspetto riguarda l’antagonismo da avere sempre più chiaro verso idee sull’ineluttabilità della condizione della persona anziana, che sarebbe caratterizzata da perdite continue; nulla è utile per contrastare una strada segnata e senza speranza; qualsiasi impegno sarebbe solo uno spreco di energie economiche e organizzative. Chi è relegato dall’immagine sociale in questa condizione non avrà certo possibilità di anni futuri di benessere.
Un altro aspetto rilevante è il dovere, da parte delle comunità, di mettere al centro della vita collettiva l’impegno delle persone che accompagnano gli anziani fragili. Si tratta di milioni di nostri concittadini che nelle famiglie assistono senza sosta i loro cari; questi, grazie ad un supporto continuo hanno una vita possibile, il lenimento del dolore, la cura delle malattie guaribili e l’accompagnamento delle malattie croniche. Non è retorica sostenere che i caregiver sono protesi che collegano le persone anziane alla vita: sono spesso protesi “eroiche”, se così si potessero definire.
Oltre all’attenzione alla vita famigliare, le comunità devono avere uno sguardo continuo sui servizi, perché i luoghi dove si concentrano le difficoltà cliniche e umane. Grazie al lavoro di operatori di diverse competenze e professionalità, anche in questi ambienti particolarmente delicati gli anni della vita sono possibili. Mi permetto di affrontare in specifico il problema delle case di riposo o RSA, cioè gli ambiti, diversamente denominati, dove le persone anziane passano gli ultimi anni, perché nella casa non avevano più la possibilità di garantirsi una vita decente. Sono anch’essi luoghi per “anni possibili”, se chi vi lavora è convinto di accompagnare la vita e non di gestire dei fallimenti. In questa prospettiva è centrale la formazione degli operatori, in particolare degli oss, sempre presenti 24 ore al giorno, per 365 giorni. A loro sono affidati compiti complessi, perché devono occuparsi, allo stesso tempo della salute, del benessere pratico, del tempo della giornata. Se il loro supporto è realizzato in maniera generosa, costruendo con gli ospiti rapporti di vicinanza e di attenzione continua, allora gli anni diventano possibili per tutti: quelli degli anziani, che godono di una buona qualità della vita, ma anche quella degli operatori. Per questi, se danno un senso al loro impegno, gli anni di lavoro saranno momenti di significato e quindi di soddisfazione. Se chi lavora nelle residenze per anziani percepisce che la gentilezza non è un atteggiamento da usare in circostanze particolari, ma lo stile di ogni giorno, allora anche le RSA diverranno luoghi dove si consumano (si vivono) “anni possibili” per tutti.
Marco Trabucchi è specialista in psichiatria. Già Professione ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università di Roma “Tor Vergata”, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e direttore del Centro di ricerca sulla demenza. Ricopre anche il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e della Fondazione Leonardo.
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