Volevo essere un uomo è il titolo del mio ultimo libro, che scandalizza già dal titolo.
“Ma come? Una femminista come te, una che ha sempre dato alle donne lezioni d’orgoglio di genere, dichiara senza vergogna, confessa senza ritegno, che avrebbe voluto appartenere all’altra parrocchia, i protetti da un Dio maschile, abituati da 4.000 anni a comandare sulle loro femmine?”.
Sembrano sconcertate e anche un po’ arrabbiate le creature benedette che seguono il mio lavoro di scrittrice da 48 anni, mese più mese meno.
Pensano di avermi colta nell’atto di cambiare casacca, che è tipico di tante persone invecchiate male. Ce n’è ce n’è, ne conosco tante di conversioni dell’ultimo minuto, bande di impenitenti mangiapreti che all’improvviso credono in Dio, in Maometto e pure in Budda, tanto per non sbagliarsi.
Bene. Non è il caso mio, la mia visione femminista del mondo non ha subito la minima incrinatura: credo profondamente e con dolore che viviamo da millenni in una società patriarcale. Credo che le donne non abbiano mai avuto giustizia, che non sia mai stato riconosciuto il loro valore, la loro diversità, credo che non siano mai state in regime di parità, di pari dignità, di equipollenza.
Credo che le donne siano esseri umani più complessi e più completi, meno inquinati da un potere che non hanno mai avuto la possibilità di gestire. Credo che lo stato di malattia in cui versa l’universo mondo, veda gli uomini più colpevoli perché più potenti. Credo che le donne abbiano un talento naturale per la narrazione, a cominciare da quando, bambine, organizzavano la vita delle bambole, invece di tirare calci a un pallone.
E allora, mi hanno chiesto le mie amiche: «Se sei così convinta che siamo le meglio, perché volevi essere un uomo?».
L’ho scritto nella pagina dove, di solito, ci sono le epigrafi, in una pagina bianca prima del primo capitolo, sono poche righe:
“Volevo essere un bambino per far contenta mia madre. Volevo essere un ragazzo per rimorchiare invece di essere rimorchiata. Volevo essere un uomo per non dover nascondere il mio talento, il senso dell’umorismo, l’ambizione. Vorrei essere un vecchio per non dover chiedere scusa, se mi va di vivere al di là della funzione concordata. Ornamentale. Riproduttiva”.
Negli Anni ’50 del secolo scorso, se nascevi femmina la tua strada era tracciata. Dovevi essere bella o almeno carina, modesta, senza grandi ambizioni, capace di stare sempre un passo indietro al maschio. E possibilmente con grazia. Dovevi stare un passo indietro rispetto all’uomo a cui tuo padre ti avrebbe consegnata, come si passa il testimone nelle staffette.
Per tutti gli anni della giovinezza di mia madre le donne hanno continuato a essere considerate “creature sbilenche, senza baricentro, azzoppate dal destino, avvelenate dal sacrificio e dal senso di un dovere più grande di loro”.
“Auguri e figli maschi”, dicevano a mia madre incinta di mia sorella maggiore. Quattro anni dopo, con più pathos, glielo hanno ripetuto ancora: “auguri e figli maschi”. All’epoca non si sapeva prima del parto il sesso del nascituro. Mia madre fu delusa, l’infermiera cercò di rincuorarla: “Oh no, è una bambina! Beh, si consoli, le terrà compagnia quando sarà vecchia”.
Animali da compagnia, le femminucce. Per i maschi le gratificazioni cominciavano dal primo bagnetto: “Guardi qua che bel pistolino, complimenti signora!”.
Avevo cinque anni o forse sei quando mia madre me lo disse apertamente: «Io non ti volevo, ti abbiamo subito chiamata ‘0k’, dalle iniziali di Ogino Knaus, il metodo che usavo per non rimanere incinta, ti vogliamo bene come a tua sorella, ma se dovevi proprio nascere almeno avresti dovuto essere un maschio, perché la femmina ce l’avevamo già».
Nessuno ci pensava alla dignità delle bambine, nessuno ci faceva caso. Mia madre meno di tutte. A Carnevale, per avere la coppia, vestiva mia sorella da damina e me da cavaliere. Un anno Zorro, un anno il moschettiere, un anno il cowboy. Baffi, speroni.
E vi stupite che sia cresciuta con questo desiderio irreversibile? Gli uomini vincono, ancora e sempre. Oggi come ieri.
Con una aggravante: oggi le donne vengono asfissiate letteralmente dai complimenti, tutte, perfino noi femministe che per tutti gli Anni ’70 e ’80 e ’90 e Zero e Dieci siamo state trattate da rompiscatole. Dal 2024, improvvisamente gli uomini ci trovano brave, efficaci, sgobbone, servizievoli, resistenti alla fatica ed, eventualmente, anche al dolore. Così è molto difficile smascherarli. Sembrano pozzi di gentilezza.
Certo, muore una donna uccisa da un uomo ogni 72 ore, nel nostro paese. Certo, c’è una sacca buia piena di bestioni assassini, ma mediamente, gli uomini ci riconoscono un sacco di qualità. Detto ciò: provate a pretendere che uno di loro si alzi dalla ‘poltrona’ per far posto a una di noi, una brava, una che è più brava di lui e guadagna un terzo meno di lui, e vedrete se resta gentile!
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