Il tema della solitudine è uno di quelli che durante le festività natalizie vengono abitualmente riproposti. Per lo più in termini di attenzione a chi non ha la possibilità di avere una compagnia con cui trascorrere qualche momento di gioia e di serenità. Difficilmente affrontando un’analisi più approfondita per quella che a tutti gli effetti è una crisi di grande complessità.
L’ultimo sondaggio mondiale sulla solitudine è stato condotto dal prestigioso centro di ricerca Meta-Gallup in 142 Paesi ed è valutato valido per circa l’80% della popolazione mondiale, poiché non è stato possibile effettuarlo in Cina. Il risultato afferma che le persone che provano sentimenti di solitudine in modo persistente raggiungono il 24% sul totale. Se si aggiungono coloro che “si sentono un po’ soli” arriviamo al 51%. È un dato indicazione, che fra gli over 50 è di uno o due punti percentuali più basso. Si è accresciuto significativamente durante la stagione del covid, ma da allora non è affatto diminuito, anzi.
La solitudine femminile
Se a livello globale le differenze tra uomini e donne sono abbastanza livellate, l’indagine evidenzia che in 79 Paesi su 142 la discrepanza di genere è molto più marcata a discapito delle donne. Le ragioni dietro questa realtà sono identificabili con i ruoli sociali e le aspettative che definiscono oggi la donna, cui si sommano la lotta quotidiana per bilanciare lavoro, famiglia e vita personale e i sentimenti di inadeguatezza e separazione cui portano non di rado le false connessioni umane dei social media.
Le donne si sentono tese ed emotivamente isolate anche per la pressione sociale a incarnare la perfezione. La Superwoman syndrome è uno dei fattori scatenanti più attuali. Conciliare le aspettative della società con le aspirazioni individuali, quasi sempre senza un supporto emotivo e senza la rete protettiva di una famiglia numerosa (ormai così rara), è estremamente complesso, specie in ambiti esigenti come quelli odierni.
Carriera contro tradizione
Troppo spesso oggi il successo professionale identifica quello personale, mentre i ruoli tradizionali come la maternità o la partnership sono svalutati, benché le donne siano chiamate comunque a sostenerli al meglio. La mancanza di una comunità unita – retaggio quasi di altri tempi – è un deficit ulteriore per chi ha difficoltà a bilanciare il proprio agire come persona in carriera dentro un luogo di lavoro competitivo e quello da svolgere nella realtà personale come moglie affettuosa, madre premurosa, casalinga attenta e via dicendo. Serve una tensione emotiva decisamente alta per sostenere questo continuo gioco di equilibri. E la solitudine, con il corollario di sentimenti di sconfitta e isolamento, ne è spesso il risultato indesiderato.
La solitudine maschile
Per i maschi la solitudine il più delle volte è determinata dalla mancanza di connessioni sociali, piuttosto che da quella di un partner sentimentale come si credeva in passato. È l’assenza di amicizie strette e/o di una comunità che li supporti, così come il progressivo declino dei gruppi e dei luoghi sociali tradizionalmente a loro demandati, che rendono gli uomini “disconnessi”.
Inoltre i ruoli sociali che li vogliono indipendenti e determinati, autosufficienti e risoluti, li portano a non mostrarsi mai vulnerabili né a cercare aiuto, aggravandone perciò le problematiche. Allo stesso modo dei film e dei programmi tv che romanticizzano la solitudine maschile dipingendola misteriosa quando non tragicamente bella.
Le illusioni dei social
Per tutti poi l’avvento del digitale, che apparentemente connette le persone del mondo intero, ha aumentato i sentimenti di isolamento. Le piattaforme dei social media forniscono sì nuovi modi di comunicare, ma la cultura degli appuntamenti occasionali, del ghosting e l’impersonalità delle app di incontri rendono difficilissimo instaurare relazioni significative o stabilire connessioni profonde, a fronte di un’enorme perdita di tempo.
Non solo. Spesso mostrano una versione della vita che non riflette la realtà quotidiana. Immagini idealizzate e corpi “perfetti” migliorati da filtri o intelligenza artificiale stabiliscono standard di bellezza e di attività irrealistici, portando a inadeguatezza, insicurezza e isolamento.
Che fare?
Sentirsi compresi e connessi è un bisogno umano universale. Affermare che le persone veramente felici amano stare da sole, non hanno bisogno di nessuno, si nutrono della propria compagnia, è fuorviante e pericoloso per molti. Per affrontare le complessità della solitudine non serve semplicemente alleviare le afflizioni individuali, bisogna intervenire nel tessuto sociale delle nostre collettività, creare spazi pubblici in cui impegnarsi in attività di gruppo e costruire connessioni che riducano l’isolamento, ridefinire le visioni culturali per includere l’apertura e la vulnerabilità, l’attenzione e la disponibilità come punti di forza.
Last but not least, in considerazione del fatto che molti studi collegano la solitudine all’aumento dei rischi di malattie cardiache, depressione, ansia e persino morte precoce, gli operatori sanitari dovrebbero essere formati per riconoscerla e affrontarla già durante i controlli sanitari di routine.
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