Quando diventa la compulsione a perdersi nelle proprie fantasticherie, detta maladaptive daydreaming, sognare a occhi aperti può causare problemi nei rapporti interpersonali e durante la vita quotidiana.
In molti pensano che sarà inserito nell’edizione n. 6 del DSM, il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali, che l’American Psychiatric Association compila dal 1952 per offrire, tenendo conto delle diverse scuole di pensiero, un sistema diagnostico standardizzato ai diversi disturbi della mente. Per ora è attenzionato dagli studiosi più vigili, a cominciare dall’israeliano Eli Somer dell’Università di Haifa, che ne inventò l’attuale definizione: maladaptive daydreaming.
Dimenticare il reale
Ma di cosa si tratta? Dell’esagerato sognare a occhi aperti, del fantasticare troppo, del perdersi nei propri pensieri dimenticando il reale e autoprocurandosi problemi nelle attività quotidiane. Più tecnicamente dell’«eccessiva attività di fantasia che sostituisce le interazioni umane e/o interferisce con l’attività accademica, interpersonale o professionale», secondo la definizione di Somer. Insorge quando il nostro fantasticare, riflettere, congetturare di ogni giorno, che, secondo i sondaggi, occupa poco meno della metà del nostro tempo (sonno escluso), diventa tanto sovrabbondante da “sostituire” la realtà. Il maladaptive daydreaming non è il semplice avere la “testa fra le nuvole”, ma è un’irrefrenabile pulsione a entrare in fantasie complesse ed elaborate, con un plot sempre più articolato e lucido, in cui si muovono personaggi caratterizzati e un protagonista di cui interpretare il ruolo con grande appagamento. “Non farti il tuo film” ammonivano i nostri nonni e avevano ragione.
«Quello che in italiano si chiama “sogno a occhi aperti”», ci dice lo psicologo e psicoterapeuta Carlo Zotti, «in realtà è un comportamento assolutamente normale. È gratificante, ci permette di progettare. Non va più bene quando diventa invasivo, pervasivo, quando non riusciamo a smettere e passiamo il nostro tempo a fantasticare. Non è più quel quarto d’ora durante il quale pensiamo ad avventure favolose, ad amori impossibili, a scrivere un romanzo, un racconto, una canzone da hit parade, diventa continuativo. Diventa un mondo parallelo che ha una sua complessità e che ci fa dimenticare quello reale. Così lo studio ne risente, il lavoro ne risente, la vita famigliare ne risente».
Come si sviluppa il maladaptive daydreaming
Causato e/o esasperato per lo più da eventi traumatici o da alterazioni psicologiche come l’ansia, la depressione o i disturbi dissociativi, il maladaptive daydreaming si sviluppa secondo temi ricorrenti quali il sé idealizzato, la violenza, l’eccitazione sessuale, l’avere forza e controllo, il salvataggio e la fuga. E offre un fittizio appagamento dei desideri e un apparente miglioramento dell’umore con il distacco dallo stress e dal dolore attraverso fantasie dalla frequenza e dall’urgenza che diventano incontrollate.
Ciò porta, con una progressione che ce ne fa identificare i sintomi, al ritrarsi dai contatti interpersonali e da ogni circostanza di comunità, allo sviluppare continui imbarazzi e disagi fino ai sensi di colpa e di vergogna, al continuo conflitto tra il desiderio di perdersi nella sicura comfort zone della propria fantasia e la consapevolezza di doverlo evitare.
Come combatterlo
«Anche se non vi è la certezza che sia una patologia a sé», continua Zotti, «per combatterlo al meglio bisogna individuarne le cause. Se è originato da un evento di tipo traumatico ed è diventato un meccanismo di difesa, si agisce cercando di rielaborare quell’evento. Se invece è il modo di tutelarsi dall’ansia, dallo stress, dalle situazioni difficili, dagli esami, diventando la condotta preferita nell’affrontare i problemi, allora è un altro discorso. Si deve lavorare sulla sicurezza personale, sulle abilità sociali, sull’affrontare le cose in maniera diversa».
Alcune stime parlano di una percentuale tra l’1 e il 2,5% della popolazione affetta da questo disturbo, confortati dal fatto che i gruppi e i cyber-forum in rete sono in continua crescita. Però numeri sono difficili da valutare, perché non si tratta di un disturbo codificato. È una problematica senza età, spesso accompagnata da movimenti del viso e del corpo, dondolarsi o stringersi le mani. Sembra più frequente nei giovani, solo perché gli adulti, quando sognano a occhi aperti, tendono a isolarsi per non esporsi a giudizi di cui un po’ si vergognano.
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