Nel 2020, il governo di Trump ha varato il Titolo 42, una misura che consentiva di bloccare ed espellere le persone in cerca di protezione al confine meridionale degli Stati Uniti. Una politica utilizzata per espellere oltre 2,8 milioni di persone verso le città lungo il confine con il Messico e che ha causato una catastrofe umanitaria per i migranti in cerca di sicurezza. A maggio l’amministrazione Biden ha messo fine al Titolo 42, ma la crisi migratoria al confine tra USA e Messico continua a essere drammatica. “Sognando l’America” è un servizio a puntate di Spazio50 che raccoglie le storie di chi è in cerca di una vita migliore.
Brownsville è una cittadina di frontiera. Rappresenta l’ingresso sud orientale agli States. Oltre al fiume, il Rio Grande, a separarla dalla città di Matamoros (e quindi dal Messico) c’è anche un muro di ferro e di filo spinato che si estende per vari chilometri. È stato voluto dall’ex presidente Donald Trump.
Ma sono in pochi a fermarsi qui. Brownsville infatti è la porta di ingresso negli USA: dalla stazione degli autobus si diramano bus diretti in una miriade di destinazioni, anche fuori dal Texas. Ci sono viaggi, ad esempio, che richiedono anche tre giorni in autobus.
Al mattino del 7 maggio scorso, il gesto di un giovane fa finire questa cittadina in cima alle cronache mondiali. Sono da poco passate le 8 quando George Alvarez, 34 anni, a bordo del suo Suv passa con il rosso e travolge un gruppo di migranti che sono sul ciglio della strada, aspettando l’autobus. L’impatto è cruento. Nove le vittime, e oltre venti i feriti, quasi tutti venezuelani. L’incidente avviene davanti al centro Ozanam, uno dei pochi rifugi nella zona ad offrire un posto per dormire ai migranti.
L’uomo alla guida, anche lui di origini ispaniche, viene trovato in preda a sostanze stupefacenti e con precedenti penali. Per giorni prende piede l’ipotesi di un atto di razzismo, c’è molto clamore, un’ondata di sdegno generale, che si spegne, però, dopo poco.
Tra le vittime anche Cristian Sangroni, un ragazzo di diciannove anni, che era partito dalla Colombia ad inizio marzo.
Il grido di dolore dei parenti delle vittime
Maria, sua mamma, è arrivata in Texas per fare il riconoscimento del corpo. All’inizio le avevano detto che suo figlio era tra i sopravvissuti ed era rimasto solo ferito nell’incidente. Poi ha scoperto che, in realtà, era morto subito nello scontro. Ha dovuto fare il riconoscimento del cadavere, dopo quasi un mese, “ma quello non era mio figlio, non ho riconosciuto il suo volto”, ha detto. Era, infatti, stato ricostruito.
Ora è a Brownsville, ospite della Iglesia Bautista West Brownsville che ha dei piccoli appartamenti dove accoglie migranti e persone fragili. Non sa quale sarà il suo futuro, non sa quale sia la decisione da prendere. Ha un biglietto, già pagato, per tornare in Colombia (dove ha altri tre figli, ndr), ma ha anche un visto umanitario che le consente di rimanere un anno sul territorio statunitense. Ed allora vorrebbe provare a realizzarlo lei quel sogno americano che è costato la vita a suo figlio, colpevole solo di essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
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