Sofia Palumbo. È nata a Salerno dove vive. Docente di informatica e poi dirigente scolastica da poco in pensione. Ama la musica e il ballo. Partecipa al Concorso 50&Più per la quinta volta; nel 2022 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la fotografia.
Come ogni mattina, poco prima delle otto ero già nel mio ufficio: una stanza molto ampia dalle cui finestre si poteva vedere il bel panorama delle colline circostanti, degradanti verso il mare.
Ad aprire la sede centrale alle sette e trenta era il collaboratore scolastico ma poteva succedere che si assentasse per malattia all’ultimo minuto ed allora ero pronta ad aprire io gli uffici.
Quella mattina il collaboratore scolastico non era arrivato, così avevo aperto io il cancello e poi il portone d’ingresso degli uffici.
Entro nella mia stanza, sistemo la borsa, che mi accompagna come valigia ogni giorno a lavoro, apro le finestre, accendo il PC, poi ad un certo punto odo una voce concitata provenire dalle scale: “Voglio parlare con il preside”.
Di solito il collaboratore scolastico chiedeva: “avete un appuntamento? ma quella mattina il collaboratore scolastico non c’era.
Allora mi affaccio sul corridoio e vedo una signora, giovane d’età ma appesantita nell’aspetto da un trucco troppo marcato e le dico: “ Buongiorno, sono io il preside, cosa è successo?”. Mi mostro alquanto preoccupata, ma il mio tono è nello stesso tempo calmo e rassicurante. La signora rimane piuttosto sorpresa, a dir poco spiazzata, forse avrebbe voluto sfogarsi prima con il collaboratore scolastico di turno per lamentarsi della scuola, e del preside assente, ma io ero già là e la invitavo ad accomodarsi nel mio ufficio per sapere cosa fosse successo.
La signora entra, le stringo la mano per salutarla e la faccio accomodare sulla poltrona di fronte alla mia. Il volto rosso e furibondo si addolcisce un poco, ma poi parte in quarta urlando che le cose non potevano continuare così: “Signora preside lei deve prendere provvedimenti perché mia figlia Jessica…”. La interrompo subito, con fermezza, prendo il quaderno rosso e le chiedo: “Mi scusi, ma Jessica dove va a scuola? infanzia, primaria o scuola secondaria di primo grado? Perché dirigo un istituto comprensivo”. Risposta “la prima media”.
La signora è infastidita perché vorrebbe subito vomitarmi addosso il torto subito dalla figlia e andarsene ed invece si trova a dover rispondere a domande come fosse dai carabinieri.
Finalmente le chiedo di raccontarmi l’accaduto.
“Jessica è stata trattata male dalla prof d’italiano che l’ha presa in antipatia dal primo giorno, questa storia dura da tempo e deve finire!”.
Le chiedo cortesemente di raccontarmi cosa ha fatto di grave l’insegnante in modo da poter intervenire nei modi consentiti. Di nuovo la madre sembra seccata, quella mattina voleva sfogarsi e parlare con qualcuno; invece, la interrompo sempre e non la lascio parlare: “Ma voi non mi fate parlare!”, sbotta alzando il tono di voce. Allora le faccio una promessa: “Va bene, la ascolterò senza interrompere, ma lei deve raccontarmi bene l’accaduto, e spiegare le colpe dell’insegnante”.
Mentre la signora parla prendo nota sul quaderno rosso: la Prof rimprovera sempre Jessica, tanto che Jessica non vuole venire più a scuola e lei ha ricevuto anche la telefonata dalla segreteria per le assenze della figlia.
La signora sembra aver fretta di andarsene e nello stesso tempo io vorrei subito risolvere la questione, ma capisco che devo approfondire. Nel racconto avverto qualcosa che non torna.
Alzo la cornetta del telefono, non c’è nessuno al centralino quindi decido di chiamare direttamente io il plesso per parlare con l’insegnante. La professoressa è già arrivata a scuola, ha lezione alla seconda ora ma arriva sempre prima perché è referente di plesso (una volta si diceva fiduciaria di plesso) e conosco la sua professionalità e il suo attaccamento al lavoro. Le dico brevemente che c’è da me la mamma di Jessica e le chiedo se può raggiungermi in presidenza. La prof risponde subito con un sì, perché ha già disposto le sostituzioni degli assenti e che in dieci minuti di auto potrà essere da me.
Spiego alla signora che intendo ascoltare anche la versione della prof prima di prendere un provvedimento. Intanto, però, la ragazza deve venire a scuola e su questo punto la madre inizia ad agitarsi: “Ma non vuole venire, che posso fare io!”.
Nell’attesa che arrivi la Prof chiedo alla madre se le ha già parlato per sapere cosa accade in classe, ma la signora non ha dubbi. “Jessica mi ha raccontato tutto e quindi a che serve sentire pure la prof!”. Quelle parole mi fanno capire quanto sia lontana la scuola di un tempo: una volta le parole dell’insegnante erano la verità e nessuno le metteva in dubbio. Invece ora è esattamente il contrario: nessun genitore mette in dubbio le parole del figlio, in quanto proprio figlio. Intanto sopraggiunge trafelata la prof, saluta me e la signora e rivolgendosi a quest’ultima con un sospiro di sollievo dice: “Finalmente le posso parlare. Le avevo dato appuntamento a scuola la settimana scorsa, l’ho aspettata ma non è venuta”. La madre ribatte: “Jessica mi ha raccontato tutto, e così non mi serviva parlare con lei; mi ha detto che la rimprovera sempre quando viene a scuola senza aver fatto i compiti”, poi si gira verso di me per avere un appoggio e mi dice:“Signora preside, ha capito? La rimprovera sempre perché non fa i compiti! E che sarà mai… anche lei, sicuramente, sarà andata qualche volta a scuola senza aver fatto i compiti!”.
Guardo la signora e dopo un attimo di sbalordimento mi alzo in piedi e le dico “Io? Sarei andata a scuola senza aver fatto i compiti? Mai! Ha sbagliato proprio persona. Sono sempre andata a scuola preparata (ero la classica sgobbona, e poi mi piaceva studiare). Insomma, la prof si è permessa di rimproverare sua figlia perché non studia”.
Ricado sulla sedia mentre la prof prende la parola. “Le volevo parlare di Jessica perché si assenta spesso. Le poche volte che l’ho vista le ho chiesto il motivo delle assenze, ma si è sempre rifiutata di rispondere. Non porta mai libri e quaderni, ma se almeno venisse a scuola potrebbe imparare partecipando alle lezioni!”.
La signora sospira, allarga le braccia verso il cielo e con la voce bassa dice: “Io e mio marito ci siamo separati ed io soffro di attacchi di panico, a volte Jessica resta a casa con me, per non lasciarmi sola. Se lo venisse a sapere il padre …”.
Vedo smarrimento negli occhi della donna che, all’improvviso, mi sembra una bambina che ha bisogno di aiuto.
“Allora per prima cosa la ragazza deve tornare a scuola! E lei deve fare la madre! Potrà parlare delle sue ansie con la psicologa dello sportello di ascolto della scuola, se vuole, ma deve riprendere il ruolo di madre”.
La rabbia è scomparsa dal volto, mi stringe la mano, saluta la prof e ci ringrazia.
La fisso negli occhi “Lavoriamo insieme per il bene dei ragazzi. Domani mattina chiamerò la prof per sapere se Jessica è a scuola”.
Mi guarda negli occhi e capisce di aver sbagliato.
Mentre la signora si allontana scrivo sull’agenda, in cima alla lista degli impegni dell’indomani, il nome Jessica.