Si può misurare la felicità? Ma soprattutto si può calcolare quella prodotta da un posto di lavoro? Si può capire “matematicamente” quanto siamo soddisfatti del nostro impiego? Gli over 50 italiani sembrano esserlo. Ma andiamo con ordine.
Il momento storico è particolare, lo smart working sempre più diffuso. Mentre ci lasciamo alle spalle cose che ci sembravano consolidate del mondo del lavoro, c’è chi chiama in causa la scienza per capire meglio. Soprattutto per comprendere lo stato di felicità dei lavoratori italiani, compresi gli over 50.
È quello che ha cercato di fare l’Associazione “Ricerca Felicità” con il primo rapporto dell’Osservatorio italiano sulla felicità nella popolazione italiana attiva. L’analisi ha considerato sia la dimensione aziendale che quella individuale e sociale. Sei gli obiettivi che ha indagato: felicità in generale, solitudine e isolamento, felicità al lavoro, senso di appartenenza, riconoscimento e discriminazione e lavoro e suo significato.
Dalla felicità globale a quella lavorativa
In realtà, un rapporto sulla felicità c’era già: è il World Happiness Report. Rappresenta un autorevole spaccato sulla condizione della felicità in 150 Paesi, ma si tratta di una visione “globale del fenomeno” e secondo uno degli autori della ricerca sull’ambiente lavorativo, Sandro Formica – docente universitario in “Scienza della felicità” e professore alla Florida International University -, c’è un grande assente nella comprensione di questo sentimento: «La domanda diretta sulla felicità non è mai stata fatta».
«Ci siamo focalizzati nell’ambito lavorativo ma di fatto il centro della nostra ricerca è sempre l’individuo. Con questa raccolta di dati non c’è nessuna pretesa di trovare una risposta ma un punto da cui partire per ampliare il dialogo e capire con quali strumenti agire per aumentare il benessere sul lavoro nel nostro Paese», ha spiegato meglio Elisabetta Dallavalle, presidente dell’Associazione “Ricerca Felicità”. Dunque, “solo” un punto di partenza. Ma pur sempre importante per capire dove va il Paese e soprattutto da dove iniziare una volta che questa crisi sarà passata.
Il 20 marzo si celebra in tutto il mondo l’Happiness Day ONU ovvero la Giornata internazionale della Felicità. Ma per raggiungerla serve, anche qui, più equità e più conoscenza. L’Osservatorio permanente per comprendere lo stato attuale di felicità e benessere in Italia – da cui nasce questo Rapporto che esamina gli intrecci con il mondo del lavoro – è un progetto del professor Sandro Formica, Elga Corricelli ed Elisabetta Dallavalle, fondatrici di ELEhub, una società benefit che si occupa di trasformazione positiva.
Gli over 50, i più soddisfatti del proprio impiego. Ma anche i più felici
Quello che sicuramente emerge è un “gap” generazionale a livello lavorativo. Quasi il 30% del campione intervistato si è riconosciuto poco concorde con una delle affermazioni della ricerca. Circa un terzo dei partecipanti, infatti, non si riteneva d’accordo con la frase “I miei meriti vengono sempre riconosciuti”. Invece, è proprio tra i Baby Boomers – la fascia dei nati tra il 1946 e il 1964 – che cresce la percentuale di chi ritiene riconosciuti i propri meriti in modo adeguato. È maggiore rispetto alle altre generazioni: il 31% dei primi contro una media del 20/21% dei secondi.
Ma non è l’unico dato che mette a confronto le diverse fasce di età. Se si considerano in modo generale felicità e soddisfazione della vita, emerge che tra coloro che fanno parte della cosiddetta generazione Z solo il 19% – contro il 28% dei Baby Boomers – sente che la sua vita si avvicina al proprio ideale. Anche solitudine e isolamento sembrano maggiormente sentiti dai più giovani rispetto agli adulti: si passa dal 21% fino al 10% (dai più giovani ai più anziani) di coloro che avvertono questi problemi e dal 42% al 57% di coloro che non si sentono particolarmente toccati dalla questione.
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