Da Udine a Roma in bici per raccogliere fondi a favore della ricerca. Circa 680 km, tappa dopo tappa, con un compagno scomodo in sella: il Parkinson. Simone Masotti, autore di In bicicletta sono libero. In viaggio con il Parkinson, ha deciso di affrontare così l’ostacolo della sua malattia. Tra gli sponsor di questa impresa, a metà strada tra speranza e beneficenza, anche 50&Più di Udine. Lo abbiamo intervistato.
“Ciò che ostacola diventa la via”, scriveva l’imperatore-filosofo Marco Aurelio. Lo sa bene Simone Masotti (friulano, classe 1975) che ama viaggiare in bici. Ogni colpo di pedale, ogni scatto della sua bicicletta è un modo per dire a Mr. Pk – così chiama il morbo di cui è affetto nel suo libro In bicicletta sono libero. In viaggio con il Parkinson – che farà di tutto per lasciargli meno spazio possibile. Quando nel 2005 gli viene diagnosticata una forma precoce di Parkinson, Simone ha solo 30 anni e si ritrova a fare i conti con qualcosa che può gettare nello sconforto. Eppure, non si perde d’animo e trova la forza per tradurre le difficoltà di una patologia – rara alla sua età – nella possibilità di parlarne, mostrarla per sensibilizzare il mondo. Al Parkinson, che offusca i movimenti e rende tutto infinitamente più complesso, oppone lo sport.
Così, dal 19 al 27 maggio, per sostenere il progetto di crowdfunding Parkinson, bicicletta e libertà. In viaggio attraverso l’Italia, ha percorso centinaia di chilometri insieme a Paolo Nadin, facendo una decina di tappe tra Jesolo, Rovigo, Firenze-Scandicci, Monte San Savino, Arezzo, Aboca, Perugia, Terni, Civita Castellana e, infine, Roma. Una media di 10 ore di bici al giorno portando con sé il libro scritto con Max Mauro. Gli abbiamo chiesto di raccontarci meglio questa esperienza.
Sei partito da Pradamano (UD) il 19 maggio. Lungo il percorso hai incontrato le associazioni che si occupano di Parkinson. Allo stesso tempo però volevi lanciare un segnale a chi si sente in difficoltà al di là della malattia. Le sensazioni raccolte?
Tutte le persone che ho incontrato sono rimaste stupite della mia storia, ma io lo dico sempre: l’unica catena che ci libera è quella della bicicletta. Mi spiego meglio: in genere assumo uno stimolatore – io vivo grazie a quello – ma in questi 10 giorni non l’ho mai toccato e mi sentivo veramente libero perché pedalare mi ha aiutato tantissimo. Negli sguardi di chi ho incrociato, nei loro occhi, ho visto la forza che trasmettevo. Questa è la cosa più bella che ho potuto provare, al di là della fatica, e che porterò sempre con me.
Quando nel 2005 hai scoperto, a soli 30 anni, di avere una forma precoce di Parkinson non ti sei arreso. Hai deciso di andare avanti, pedalando per sensibilizzare sul tema. Ma perché hai scelto proprio la bici?
Dobbiamo tornare indietro di 18 anni, al momento della diagnosi, quando chiesi quali sport avrei potuto fare. Mi venne risposto “acquagym” perché, con i problemi di equilibrio indotti dal Parkinson, cadendo non mi sarei fatto male. Io però ho sempre avuto una grande passione per la bici e mi sono accorto che nei giorni in cui la usavo riuscivo a ridurre la quantità di farmaci. Non avevo tutti i torti: dal 2019 ad oggi sono usciti 400 articoli sul movimento e sul ciclismo. Senza contare che secondo un recente convegno a cui ho assistito, nel Parkinson il 60% del beneficio lo dà il movimento indotto dallo sport, il rimanente 40% i farmaci. Ecco perché ho usato e sto usando la bicicletta.
Pedalare ti aiuta molto, quindi?
Sì, e poi ho sempre avuto la “mania”, sin da quando avevo 7 anni, del viaggio. Il primo è stato dalla nonna materna alla nonna paterna: erano solo 7 km, ma andare per le campagne con la bici da cross per me era già un viaggio, un sogno che ho coronato in questi ultimi anni quando sono stato in Croazia, quando ho partecipato all’Eroica (manifestazione cicloturistica, ndr) o alla Friuli-Veneto.
Sulla maglia con cui hai viaggiato, insieme ad altri, c’è anche il logo di 50&Più di Udine…
Ne avevo due di maglie ma ormai – come si dice – stanno su da sole. Le ho portate ogni giorno, non le ho mollate mai. Posso dire solo grazie a 50&Più di Udine per il supporto che mi ha dato. Ho conosciuto Guido De Michielis, il presidente udinese, un paio di anni fa per un altro progetto in America che poi non è andato in porto. Quest’anno però mi ha chiesto se per caso avevo in mente qualche altra impresa: «Certo – gli ho risposto -, andare a Roma». 50&Più di Udine allora mi ha aiutato e supportato dandomi anche i contatti giusti.
La situazione critica in Emilia-Romagna ti ha spinto a cambiare tragitto per arrivare a Roma e presentare a Testaccio, presso la sede della PGR Aps –Parkinson Giovanile Roma, il tuo libro.
All’inizio avevo studiato un altro percorso. Dovevamo passare per Cesenatico e incontrare diverse associazioni di Ravenna, Rimini e Cesena, percorrendo l’Adriatica, ma con l’alluvione non me la sono più sentita e ho cambiato l’itinerario in 24 ore. Non potevo fare diversamente, oltre che per una questione di rispetto anche per sicurezza. Per quanto riguarda il libro, invece, sono 18 anni che ho il Parkinson e volevo festeggiarne la maturità, il 18° compleanno (ride, ndr). Ho pensato ad un libro: è uscito a settembre scorso e ha avuto un tale riscontro che mi sono detto: «Perché non portarlo in giro per l’Italia?». Nei primi quattro giorni di viaggio ho terminato le copie che avevo con me. Il ricavato sarà devoluto per un dottorato di ricerca, mentre i fondi raccolti con il crowdfunding andranno alla PGR Aps –Parkinson Giovanile Roma, alla Società Italiana Parkinson – LIMPE-DISMOV ed alla Parkinzone Onlus.
Hai marcato l’ultima tappa a Roma il 27 maggio, proprio il giorno prima dell’arrivo del Giro d’Italia nella Capitale. È stato semplicemente un caso oppure lo hai voluto?
È stato un caso, ma non troppo. Quello che posso dire è che ad una delle mie presentazioni ha partecipato anche il famoso Enzo Cainero, dirigente sportivo che ha portato la Corsa Rosa in Friuli-Venezia Giulia, la mia regione. Purtroppo, pochissimi mesi fa è venuto a mancare all’improvviso. Avrei voluto fosse presente anche lui qui, ma poi mi sono detto che lui c’è in qualche modo a Roma: lo porto con me, nel mio cuore. Ha fatto questo viaggio insieme a me e al mio amico Paolo Nadin che, in sella alla sua bici, mi è sempre stato accanto, accompagnandomi tappa dopo tappa. Insomma, non sono mai stato da solo.
La cosa che ricorderai con maggiore piacere della strada fatta da Pradamano a Roma?
Ce ne sono due. La prima è stata pedalare per la Norcia-Spoleto, lungo questa strada ex ferrovia. Mentre passavo sui suoi ponti ha iniziato a grandinare, ma io mi sono chiuso nel mio giacchetto a bozzolo, come una farfalla, anche se sudavo tantissimo. Ecco, vedere il corpo che trasuda, che vive, che ti risponde è certamente la cosa più bella che ho provato. La seconda, invece, sono stati gli occhi di quelle persone che ho incontrato, qualcosa che non potrò mai dimenticare. E che ha tolto tutta la stanchezza che sentivo alla fine di ogni giornata.
Simone Masotti, in bici per combattere il Parkinson ed essere libero
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