Giovanni Silonio. Dopo la maturità classica ha frequentato la facoltà di lettere all’università di Torino. Ha lavorato presso la Asl di Vercelli e ora è in pensione. Ha pubblicato un libro di poesie dal titolo “In cammino” nel 1992, ultimato il secondo dal titolo “Appunti di viaggio” e ha appena concluso l’elaborazione di “Appunti di viaggio . Parte seconda”. Ha frequentato un corso di scrittura creativa all’Unipop di Vercelli. Partecipa al Concorso 50&Più da diversi anni: nel 2012 e 2014 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la poesia, nel 2013 e 2014 la Menzione speciale della giuria per la prosa, nel 2015 ha vinto la Farfalla d’oro per la poesia, nel 2016 ha ricevuto la Segnalazione della giuria sempre per la poesia; nel 2019 ha vinto la Farfalla d’oro per la prosa; nel 2020 la Libellula d’oro per la prosa e la Menzione speciale della giuria per la fotografia. Vive a Vercelli.
Si era appena infilato l’accappatoio, dopo una rigenerante doccia, quando il cellulare cominciò a trillare. Matteo lo afferrò istintivamente con la mano ancora bagnata per rispondere, ma vide che sul display era comparsa la scritta “sconosciuto”. Rimase perplesso per un attimo in quanto il numero del suo telefonino l’aveva gelosamente rivelato solo a cinque persone, tutte memorizzate. Chi poteva esserci all’altro capo del cellulare? Non frappose più altro indugio e disse “pronto”.
“Pronto, chi parla”, rispose una dolcissima ed accattivante voce femminile, dal leggero accento francese.
“Veramente chi parla lo dovrei dire io, cara signora, come fa ad avere il mio numero? Penso che lo abbia digitato erroneamente, perciò la saluto e riprovi col numero giusto”.
“No, no, caro Matteo, io cercavo proprio lei, non ho assolutamente sbagliato”, rilanciò la voce femminile.
“Anche il mio nome conosce, sono esterrefatto, ma chi è lei, come fa a possedere questi dati?”.
“Ma certo che gli dico chi sono, ho telefonato per questo. Mi chiamo Patrizia, per gli amici Patty, per gli intimi Pat”, la voce si era fatta ancora più dolce e un po’ sensuale, “Io ti conosco Matteo”, era passata al “tu”, “e anche tu mi conosci bene, ma non posso dirti altro”.
“Chi diavolo sei, come hai fatto ad avere il mio nome e il mio numero?”, riprese Matteo, sempre più sconcertato ed annebbiato, ma anche incuriosito.
“Beh, a dir la verità mi sono apparsi e non ho potuto fare a meno di prenderne nota”, proseguì la donna.
“Ma chi sei? Una veggente, un’indovina oppure un’esperta della sfera di cristallo?”.
“Non sono nulla di tutto ciò, sono una persona normale.”, ribatté Patrizia, “Per telefono non posso andare più in là, ma se desideri sapere tutto, vieni a cena con me stasera al “Soleluna”, ho prenotato un tavolo”.
“Come, hai prenotato un tavolo, di tua iniziativa, senza consultarmi. Ma è una cosa inaudita, che non sta né in cielo, né in terra. Non è possibile”. Riprese Patrizia: “Allora vieni caro? Ti aspetto alle ore 21 in via dei mercati al numero 33. Sarò io a riconoscerti. In ogni caso sono rossa di capelli e porterò un foulard rosso”.
“E va bene”, esclamò Matteo, “ci vengo, ci vengo, ma sento puzza di bruciato”.
“Fuochino, fuochino, petit chéri, ci vediamo al Soleluna”, concluse Patty.
Matteo era più sudato di prima di fare la doccia, per cui rientrò nel box e ne fece un’altra, arrabbiato, confuso, con i pensieri che vagavano nel suo cervello come un groviglio inestricabile di fili attorcigliati.
Alle 20 e 55 parcheggiò la sua auto in via dei mercati, a ridosso del numero 33.
Patty era già lì, ad aspettarlo, all’ingresso del ristorante. “Ehi Mat, sono qui, ciao”, disse in tono confidenziale, “Bene, allora entriamo”. Li accolse il maitre di sala, che li accompagnò al tavolo n.77. I due rimasero per un po’ avvolti da un silenzio imbarazzante. Matteo, che aveva riconosciuto come noto il volto della donna, ma non era riuscito ad identificarlo, ruppe gli indugi e sbottò: “Senti, cara mia, io sono venuto all’appuntamento, ma ora tocca a te, devi scoprire le carte, come promesso”.
“Mais oui, mon petit chéri, ma prima ordiniamo”. Scelsero una cena a base di pesce, innaffiata da buon vino bianco della casa. Mentre mangiavano Patrizia iniziò a raccontare. “Io sono una cassiera del supermercato che tu frequenti abitualmente, non so se te ne sei reso conto, nel vedermi. Comunque ti ho notato parecchie volte, e mi sono un po’ invaghita di te, perché sei un bell’uomo, dal portamento distinto e sempre vestito in modo esemplare.
Qualche giorno fa, di pomeriggio, stavo a casa mia e mi sei venuto in mente improvvisamente. Il pensiero di te mi rendeva nervosa ed inappagata al punto tale che mi sono detta: non so che darei per avere un’avventura con quel tipo, penso che arriverei a fare anche un patto con il demonio.” Non passarono nemmeno cinque minuti e il campanello di casa suonò. Andai ad aprire e si presento davanti a me un signore sulla cinquantina, vestito da postino, che mi porse una lettera. “A quest’ora arriva ancora la posta?” chiesi. “Signora, rispose il portalettere, la nostra è un’agenzia privata, e lavoriamo 24 ore su 24. La saluto” e strizzò l’occhio. Rientrai in casa con la busta in mano e subito la aprii. Su carta intestata “Devil express” c’erano scritte tre sole righe, che così recitavano: “Cara Pat, se vuoi veramente che si avveri ciò che desideri, devi solo pungerti con uno spillo un dito, e far cadere sulla lettera una tua goccia di sangue. Il patto con me sarà così sanzionato e Matteo sarà tuo. Non preoccuparti, farò accadere tutto io”. Rimasi interdetta e sorpresa, ma la voglia immensa che avevo di poter avere una storia con te ebbe il sopravvento e eseguii esattamente ciò che mi era stato suggerito. Appena la goccia ebbe toccato il foglio, la carta prese fuoco e incenerì. Il giorno successivo ero al lavoro, quando tu transitasti dalla mia cassa e mi chiedesti indicazioni per poter acquisire la tessera a punti del supermercato. Ti porsi subito la scheda da compilare con tutti i tuoi dati. Tu te ne andasti immediatamente dopo la compilazione, ma io, una volta ritirata la scheda, diedi un rapido sguardo ai dati che mi interessavano, nome e numero telefonico, li memorizzai e poi li riportai velocemente su un foglietto. Tutto qui, svelato l’arcano”.
Matteo, sempre più colpito dalla bellezza della donna che gli stava di fronte, cercò di sminuire il tutto. “Non vuoi mica che io creda alla tua storia diabolica, suggestiva anche, ma molto, molto fantasiosa. Il fatto che io sia qui, davanti a te, è frutto di pura casualità. Sono capitato alla tua cassa per caso, come tante altre volte, e tu ne hai approfittato. Non posso negare che sei una bella donna, e che anch’io ti avevo notata, ma niente di più”.
Il locale dove cenavano era dotato di una sala da ballo adiacente, che veniva sfruttata tutte le sere con una gara fra alcune delle coppie presenti. Patrizia aveva provveduto a iscrivere il tavolo n.77 alla competizione per cui, quando lo speaker li chiamò in pista, Matteo, che era un esperto ballerino e amante della danza, preso alla sprovvista, non poté fare a meno di acconsentire. Improvvisarono un tango, un jive e un cha cha cha, e fu come se avessero da sempre danzato insieme, armoniosi, ritmici ed affiatati. Arrivarono secondi e vinsero una bottiglia di Whisky Ardbeg Day, ritenuto uno dei tre più pregiati e rinomati whisky mondiali. Appena rientrati al tavolo, la bottiglia, in confezione premio, fu loro consegnata dal misterioso e ineffabile signor Belz (maitre Belz, così era evidenziato sulla targhetta affissa alla sua giacca), il direttore di sala, che prima di congedarsi da loro, fece l’occhiolino a Patrizia, come segno d’intesa, ma la destinataria del cenno, lì per lì, non ne colse il senso. Erano circa le 23 e 30 e i due uscirono. Matteo chiese a Patty se desiderasse essere accompagnata a casa, e lei acconsentì di buon grado, indicandogli la via della sua abitazione. Giunti a destinazione Patty invitò l’amico a salire da lei per gustare insieme un’anteprima dello squisito whisky vinto. Matteo, ormai in balia della bella cassiera dai capelli rossi e stregato dalla sua esuberante femminilità, accettò.
Una volta entrati nell’appartamento, Patty si rivolse all’amico dicendogli: “Accomodati pure, petit chéri, io vado a rinfrescarmi e ad aprire la confezione: fa come se fossi a casa tua”. Rimuovendo l’involucro, spuntò un biglietto, sempre intestato “Devil Express”, con queste parole stampate: Il tuo amico è quasi cotto. Per assestargli il colpo definitivo, fagli bere due bicchierini del whisky che hai tra le mani, e bevine uno anche tu: sarà tuo. E ricordati della postilla. Firmato: il maitre Belz-ebù.
“Ecco dove avevo già visto quell’uomo”, ricordò Patrizia, “quegli occhi pungenti e di brace, e l’occhiolino poi…, è uguale al postino di quel pomeriggio. Tutto collima e procede per il verso giusto”.
Si sbrigò, indossò una vestaglia semi-trasparente color corallo intenso e rientrò in saletta, dove era seduto Matteo ad aspettarla. Bevvero gli afrodisiaci bicchierini dell’Ardbeg whisky e ciò che successe dopo divenne conseguenziale. Incominciarono a baciarsi, a stringersi e ad accarezzarsi, poi lei lo indirizzò verso la camera da letto, e una volta raggiunta la morbidezza delle coltri, ebbe inizio una focosa notte di passione, in cui entrambi consumarono tutti i piaceri dei sensi in modo irrefrenabile, appagante e completo. Al mattino si svegliarono ancora fra le braccia uno dell’altra. Quando Matteo aprì gli occhi, si trovò davanti il volto di Pat sfavillante e la sua bocca che diceva: “Ciao caro, sei stato speciale stanotte, ho fatto bene a fare quel patto, anche perché sono riuscita a prendere, come si suol dire, due piccioni con una fava”.
“Che stai dicendo Patrizia”, rispose, ancora assonnato e un po’ stordito, Matteo.
“Senti chèri”, riprese lei, “non ti ho ancora svelato tutto, per questo ho detto due piccioni”.
“Che cosa stai farfugliando ancora, che c’è ancora da dire? E’ andato tutto bene, con piena soddisfazione di entrambi, che altro c’è ancora?”, concluse Matteo.
“Sai caro, quando ti ho parlato della lettera recapitatami per stringere il patto, ho tralasciato di dirti che c’era un post-scriptum, in cui si dichiarava da parte di Belzebù, che se io fossi riuscita ad avere un rapporto completo con te, sarei stata sciolta dall’accordo, e, conseguentemente, il legame si sarebbe trasferito a te”.
“Cosa vuoi darmi ad intendere? Che io, che io, adesso, sarei vincolato ad un patto col diavolo in vece tua? E’ così?”, riprese Matteo.
“Sì, è così” sentenziò Patty.
Allora Matteo prese a sproloquiare. “Tu pensi che io creda al demonio, a satana, e a tutti gli annessi e connessi? Ma a chi la racconti! E’ ridicolo! Il diavolo non esiste, è frutto dell’immaginazione di alcuni scrittori che, nei loro libri, gli hanno conferito cittadinanza e notorietà. Non sono mica un bambino io. E’ come credere a Babbo Natale. Ci credono solo i bambini. Non esiste. Dai, insomma, sono tutte invenzioni e basta. Finiamola qui”.
Mentre profferiva queste parole, squillò il suo cellulare. Lo agguantò con rabbia e vide sul display ancora la scritta “sconosciuto”. Ebbe un attimo di irritazione, quindi, rivolgendosi a Patrizia, bofonchiò: “Ecco qui un’ altra persona che conosce il mio numero di cellulare. Sicuramente glielo avrai comunicato tu, sarà una tua amica. Ora la sistemo io”, e aprì la comunicazione.
“Pronto chi parla?”.
Una voce cavernosa e ansimante rispose: “ Sono il nuovo padrone della tua anima. La ricreazione con la penultima delle mie prede è terminata. Ho molti progetti su di te. Mi sarai più che utile. Ti aspetto”.
“Chi era allora, caro?” chiese Patty.
“Babbo Natale” rispose Matteo.