La desertificazione – fenomeno lento, costante, spesso invisibile, devastante – dipende anche dai nostri stili di vita poco sostenibili e da un uso discutibile delle risorse idriche
Nel 1959, in Sicilia, a due passi dal comune di Regalbuto, venne realizzato un bacino con una capacità pari a 150 milioni di metri cubi d’acqua. In quell’enorme conca venivano raccolte le acque del Fiume Salso per assicurare l’irrigazione agli agrumeti dell’ennese e alla Piana di Catania. Da quel bacino, oggi prosciugato fino all’ultima goccia d’acqua a causa della siccità, è nato il deserto di Pozzillo.
Non solo il deserto di Pozzillo, anche tanti altri luoghi del nostro Paese si stanno trasformando in vere e proprie aree desertiche; si tratta di un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti e che non possiamo più ignorare: la siccità e gli effetti devastanti che ne derivano. L’estate 2022 è stata la peggiore degli ultimi cinquecento anni.
Dicevamo delle conseguenze drammatiche della siccità; prima fra tutte la desertificazione, un fenomeno che interessa un quinto del territorio italiano, con regioni come la Sicilia dove le percentuali arrivano al 70% del territorio.
La desertificazione è un fenomeno lento, invisibile, una tragedia in slow motion, al rallentatore, non fa notizia come una bomba d’acqua, non ci rende la vita insopportabile come un’ondata di calore, ma causa danni enormi e duraturi.
Anche se sembra difficile da credere, la nostra sopravvivenza alimentare è legata ad una buccia di terra della giusta consistenza: non troppo dura, non troppo fragile, non coesa. Se questa buccia di terra, ad esempio, diventa dura come il cemento o se, al contrario, si sgretola e diventa polvere, quando piove – ammesso che piova – non riesce più a trattenere l’acqua che si disperde irrimediabilmente.
È così che nascono i deserti. Come quello del fiume Salinello, in Abruzzo, che ormai nei mesi estivi scompare a causa della siccità. Qui in estate le pareti rocciose si svuotano della suggestiva Cascata del Caccamo e di tutta l’acqua che sgorga da una fenditura nella roccia. Così come degli altri ruscelli e piccole cascate che prima rendevano vivo questo incredibile habitat durante tutto l’anno, creando suggestivi spettacoli d’acqua.
Ora il Salinello si può attraversare senza neanche bagnarsi le ginocchia, perché il letto del torrente prosciugato è diventato un sentiero drammaticamente perfetto per amanti del trekking.
La desertificazione, infatti, non riguarda luoghi estremi come per esempio il Sahara, o ecosistemi collocati in aree geograficamente aride, ma territori che da fertili diventano inerti, sterili, inadeguati a far crescere vita. Ciò accade in Sicilia, come in Lombardia: Montespluga è un deserto nel cuore delle Alpi. Siamo nella Alta Valchiavenna, al confine con la Svizzera, dove l’apparizione di un paesaggio desertico è sorprendente e inquietante. Prima del deserto qui c’era un lago, con una capacità di circa 32 milioni di metri cubi di acqua, ormai ridotto al 10% della portata massima, praticamente una pozza d’acqua. Anche in questo caso, la colpa è della siccità. Una situazione analoga a quella di un altro lago, il Trasimeno.
Un lago che sta evaporando con campi e colline già arsi dal sole, un colpo d’occhio significativo che conferma l’emergenza in corso con temperature altissime e la prolungata assenza di pioggia. Con la perdita di paesaggio si perde poi anche l’identità culturale di un luogo: un lago che “sembra un uovo di pavoncella; ulivi grigi preziosi, delicati, freddo mare, verde conchiglia”. Così descriveva il Trasimeno Virginia Woolf, nell’inverno del 1935, nel suo diario, non immaginando che in meno di un secolo quel lago sarebbe diventato solo un ricordo.
Una situazione figlia del cambiamento climatico che sta ridefinendo la geografia del nostro Paese, pericolosamente aiutato dalle nostre azioni quotidiane e da un uso sicuramente discutibile delle risorse idriche. Se continuiamo così, non saranno neanche le acque del sottosuolo, da cui dipendiamo in larga parte, a salvarci.
Occorre reagire e occorre farlo subito, in tutti i modi che la scienza, la tecnica e soprattutto la politica consentono. Perché, come in molti avvertono, il 2022 rischia di essere l’anno più fresco dei prossimi cinquanta.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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