La sperimentazione del ‘nuovo’ modello lavorativo ha fatto registrare ottimi risultati. Un’indagine realizzata dalla società NielsenIQ spiega le ragioni di questo successo
Lavorare 4 giorni a settimana anziché 5, lasciando invariata la retribuzione mensile. È questo il punto cardine della ‘settimana corta’, un modello lavorativo sperimentale già testato da diverse realtà aziendali che finora ha fatto registrare riscontri positivi: maggiore benessere psicofisico, aumento della spinta motivazionale e diminuzione dei casi di assenteismo tra i lavoratori, in aggiunta a una riduzione dell’impatto ambientale derivante dai minori consumi energetici e dal ridotto utilizzo di mezzi di trasporto.
I primi test sono stati avviati in diversi paesi del Nord Europa, tra cui Norvegia, Danimarca e Svezia, ma è l’Islanda che, tra il 2015 e il 2019, ha condotto il più grande progetto pilota al mondo. La sperimentazione, che ha coinvolto circa 2.500 persone, ha riscosso un successo tale da spingere i sindacati dei lavoratori ad attivarsi per rendere definitivo il nuovo orario di lavoro.
Sulla scia dell’Islanda, altri paesi hanno deciso di mettersi in gioco. Tra questi, anche Inghilterra, Belgio e Spagna si sono dichiarati favorevoli a fronte degli esiti positivi ottenuti dalle rispettive esperienze: produttività e benessere dei lavoratori in crescita, così come un aumento di fatturato. Risultato, quest’ultimo, imputabile all’ottimizzazione dei processi lavorativi volti a mantenere un’alta qualità del lavoro in minor tempo. È la Germania a fornire il riscontro più recente, a conclusione del test avviato nel 2023: oltre il 70% delle aziende coinvolte si sono espresse in favore dell’adozione definitiva della settimana corta.
L’Italia non è rimasta a guardare, tanto da presentare un apposito disegno di legge che, nel momento in cui scriviamo, è al vaglio del Parlamento. Nel frattempo, dopo un periodo di sperimentazione, solide realtà private come Intesa Sanpaolo, Luxottica e Lamborghini hanno adottato il nuovo modello lavorativo. Una possibilità che di recente si è aperta anche al settore del pubblico impiego attraverso un accordo siglato tra l’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) e parte dei sindacati, offrendo l’opportunità di concentrare le ordinarie 36 ore settimanali in 4 giorni.
Ma cosa ne pensano i lavoratori italiani? A fare il punto della situazione, l’analisi realizzata dalla società NielsenIQ per Pulsee Luce e Gas, secondo cui l’80% degli intervistati è favorevole al nuovo modello per i risvolti oggettivi dati da un ‘tempo ritrovato’, tanto da dichiararsi disposti a una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (47%) e a una eventuale diminuzione del numero di pause (45%). Avere a disposizione un giorno libero in più a settimana contribuirebbe non poco a migliorare la qualità della vita, con effetti positivi sulla salute, sulla cura di figli, anziani o familiari disabili, e sulla gestione della casa, ambiti che, secondo l’indagine, obbligano spesso a cercare un aiuto esterno.
Nel 48% dei casi gli intervistati sono genitori alle prese con la gestione dei figli; il 24% è costretto a chiedere il supporto dei nonni, mentre l’11% si rivolge a babysitter, caso che comporta una spesa media mensile di 115 euro. Il 65% di chi si occupa di familiari anziani o disabili cerca principalmente aiuto all’interno dell’ambito familiare (42%) o si affida a forme di sostegno come badanti e case di riposo (34%), andando incontro, anche in questo caso, a una spesa che supera mediamente i 500 euro mensili, gravando notevolmente sul bilancio familiare. È per questo che l’85% degli intervistati ‘caregiver’ vede nella settimana corta un’opportunità per prendersi cura dei propri familiari con maggiore autonomia. Relativamente alla gestione domestica, sebbene solo il 13% del campione dichiari di avvalersi di un aiuto esterno – con una spesa media mensile di 107 euro -, il nuovo modello lavorativo viene percepito come un valido strumento di supporto dall’80% degli intervistati, utile a gestire autonomamente anche questo genere di carico.
Il modello della settimana corta potrebbe rappresentare la chiave di volta per allentare i serrati ritmi della quotidianità, e ritrovare – al di là dei doveri che ognuno è chiamato a rispettare – anche un po’ di tempo per sé stessi, magari per riprendere un’attività sportiva interrotta a causa del carico di impegni o semplicemente per organizzare quel breve viaggio che si rimanda da mesi. I presupposti per assistere al consolidamento di questo nuovo modello lavorativo sembrano concreti. In futuro avremo più tempo a disposizione? Sarà il ‘tempo’ a dircelo.
GIAPPONE
Il progetto di Tokio
A fronte di un tasso di natalità ai minimi storici – circa 725mila nascite al 2023 -, il paese del Sol levante ha deciso di passare all’azione nel tentativo di contrastare il crescente declino demografico. È questa la motivazione principale che ha spinto il governo metropolitano della capitale nipponica ad attuare il modello della settimana corta dal prossimo mese di aprile. I 160mila dipendenti dell’amministrazione comunale coinvolti nella sperimentazione potranno inoltre contare sulla gratuità degli asili nido, come affermato da Yuriko Koike, governatrice della città. L’intento è ridurre anche l’onere finanziario a carico delle famiglie, estendendo la politica di assistenza gratuita per i secondogeniti e i figli successivi. Un’iniziativa che potrebbe essere d’esempio per quei paesi accomunati dal fenomeno ‘denatalità’. Italia compresa.
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