In quasi sessant’anni di pellicole, l’agente al servizio di Sua Maestà britannica ha segnato il nostro immaginario di spettatori, riempiendolo di divertimento e di azione. Ve ne raccontiamo alcune curiosità e alcune tipicità.
La domanda è sempre la stessa: «Di che cosa ha paura il mondo adesso?». E la risposta è sempre nelle capaci mani dell’agente segreto più famoso del mondo: Bond, James Bond. Con il nome preso da quello di un ornitologo americano (Ian Fleming, lo scrittore che inventò il personaggio era un appassionato di bird watching e lesse un suo libro), 007 propone ormai la saga cinematografica delle sue avventure dal 1962. La più longeva della storia del cinema.
“No Time To Die”, non è tempo di morire. Soprattutto per Bond
L’ultima pellicola, uscita nei cinema qualche tempo fa, è la venticinquesima e si intitola No Time To Die. Lo vede, come al solito, attraversare il mondo, da Matera fino al Giappone, per salvarlo da un cattivo che più cattivo non si può – il bravissimo Rami Malek, già interprete di Freddie Mercury dei Queen in Bohemian Rhapsody – all’insegna del “facciamo accadere l’impossibile”, l’altro claim delle avventure bondiane.
Daniel Craig, alla sua quinta uscita in 15 anni – il periodo più lungo per un attore in quelle vesti -, è il più cupo e muscoloso, realistico e proletario tra i sei che si sono alternati. Per onor di correttezza andrebbero aggiunti Barry Nelson, il primo, nel 1954, ma nella versione per una tv americana e con il nome di Jimmy (sic!) Bond, e David Niven, nel parodistico James Bond 007 – Casino Royale del 1967. Alla fine però lo stesso Craig ha preannunciato che non continuerà. Già questa volta ha accettato esclusivamente per denaro: il New York Post parlava nel 2017 di un compenso vicino ai 150 milioni di dollari (ma per due pellicole), dopo quel «un altro James Bond? piuttosto spacco un bicchiere e mi taglio le vene», dichiarato al TimeOut London dall’attore subito dopo il precedente Spectre.
Tra i fan di James Bond c’è anche sua Maestà Elisabetta II
Tra le ammiratrici più celebri della serie c’è proprio lei, la regina Elisabetta II. Un’ammirazione così forte da indurla a nominare baronetto Sean Connery, il primo Bond, nonostante la sua nota fede irredentista scozzese. Connery aveva un tatuaggio con la scritta “Scozia per sempre” e si presentò alla cerimonia di nomina con il tradizionale e irriverente kilt. All’epoca dichiarò che non avrebbe potuto proporre in maniera così aderente il personaggio senza aver prima recitato Shakespeare, Euripide e Pirandello. Ma, potremmo aggiungere noi, anche senza aver fatto in gioventù mille mestieri, persino il lucidatore di bare.
Non è tutto, però, perché Her Majesty ha girato con Craig il video promozionale di Skyfall, presentato tra mille applausi alla cerimonia inaugurale dei Giochi Olimpici di Londra del 2012, durante la quale fu replicato il volo della (controfigura della) sovrana dall’elicottero.
Il James Bond di ieri e quello di oggi
Gli appassionati oggi sono rigorosissimi, tanto da considerare apocrifo anche il Mai dire mai del 1983, che vedeva il ritorno proprio di Connery, a 12 anni dal precedente. Infinite sono però le filiazioni e le imitazioni: tra quelle italiane, per lo più comiche, ricordiamo Il super agente Flit con Raimondo Vianello protagonista e una biondissima Raffaella Carrà e Ok Connery con Neil, fratello di Sean, nei celebri panni.
Sempre più al passo con i tempi le variazioni sul tema proposte in No Time To Die. A cominciare da come il Nostro tratta l’ultima Bond girl, la francese Léa Seydoux (psicologa dal nome bi-proustiano Madeleine Swann): senza maltrattamenti ma con un’adesione rispettosa al #MeToo. È ben lontano dunque dalle fantasie che gli ispirava in Missione Goldfinger del 1974 l’ambigua Pussy Galore al solo pronunciarne il nome (dal facile doppio senso) oppure dal mitico «Sono qui per il panorama» rivolto alla splendida Ursula Andress che “sorgeva” dalle acque giamaicane in un bianco bikini mozzafiato nel primo film della saga. Per continuare con l’assoluta assenza di casinò, ai cui tavoli 007 aveva sempre amato sedere, e con il diffuso politically correct che vuol evitare i divieti o i tagli delle censure, subiti anche dai recenti Skyfall in Cina, per l’uccisione di una guardia cinese e i racconti di torture in quel Paese, e Spectre in India per i baci troppo appassionati.
Tutti i numeri (in denaro) di un agente segreto
Se consideriamo unicamente le sale i 25 film hanno incassato nel corso del tempo circa 7 miliardi di dollari del 2020. Secondo le stime degli specialisti della London School of Marketing, invece, il marchio James Bond ora vale 13 miliardi di sterline, 9 provenienti dal botteghino, 2 da DVD e vendite equivalenti e 2 dal merchandising e dal co-marketing. Solo il product placement (la presenza di un prodotto nelle scene stesse della pellicola) e il marketing tie (il legame di un prodotto a 007) producono un incasso per un solo film tra gli 80 e 150 milioni di sterline. Investimento, fra l’altro, che le aziende tendono a ripetere, perché lo valutano redditizio.
Ian Fleming, un improbabile scrittore di successo
E pensare che il successo colossale di James Bond è nato dalla penna di un ex-studente cacciato da tutte le scuole d’Inghilterra: Ian Fleming. Proprio Lui, un ex-giornalista arrivato persino a ottenere un’intervista da Stalin e un cortese bigliettino di scuse per averla cancellata. Sempre lui, ex-uomo d’affari dedito a scialacquare denaro, e infine scrittore dalle autoimposizioni rigidissime. Dedicava ogni giorno 4 ore alla scrittura da cui ricavava 20.000 parole. Abitava nella villa GoldenEye (da cui prende il titolo uno dei film della saga) in Giamaica e il resto della giornata voleva goderselo. Ma rimane ora solo da rispondere alla domanda iniziale: «Di che cosa ha paura il mondo adesso?». Di un folle terrorista che disponga di un virus in grado di distruggere il mondo. Elementare, Bond.
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