Proprio in questi giorni è giunta alla posta di redazione la storia di una famiglia come tante. Si tratta del racconto di un’esperienza fin troppo diffusa: il drammatico confronto con la salute sempre più precaria di una persona anziana.
«È difficile gestire la non autosufficienza di un anziano all’interno della propria casa. È quanto sta accadendo a mia madre, una donna di 86 anni che, fino al giorno prima di un crollo fisico verticale e totalmente inaspettato, viveva nella sua casa in autonomia e in compagnia della sua badante». Questa mail arriva in redazione proprio mentre stiamo leggendo i dati relativi alle Rsa in Italia su La Stampa. La non autosufficienza è in grado di minare non solo l’autonomia degli anziani ma di mettere a dura prova anche quella delle famiglie.
Tra le pagine on line del quotidiano torinese campeggia infatti un’intervista a Michele Assandri, presidente di Anaste Piemonte, una realtà che nell’area del Nord-Ovest gestisce 350mila posti letto. Un fenomeno che non si arresta ma che cresce al ritmo di 2500 unità ogni anno. È lui a dire che l’Italia è agli ultimi posti in Europa per numero di posti in Rsa. Ossia 3,5 posti su mille nel Nord e Centro Italia e intorno a 2 nel Sud. Al contrario, la media europea può contare su 8 posti ogni mille abitanti. Un dato che conferma quanto nel nostro Paese ci sia ancora molto da lavorare, tanto più che siamo una delle nazioni più longeve al mondo.
Il crollo verticale
È in questo contesto, come dicevamo, che giunge in redazione l’esperienza di una famiglia come tante, oggi alle prese con la salute di un’anziana che si va facendo sempre più precaria. «Nel giro di 24 ore la situazione di mia madre si è capovolta. Da quel momento inizia la spola tra gli ospedali della capitale, dove viviamo, e nel giro di pochi giorni viene catapultata in quattro nosocomi. Soltanto nel quinto diagnosticano invece che una banale sciatalgia, una idronefrosi al rene destro con conseguente infezione generalizzata che l’ha fatta stare in fin di vita per più di tre settimane e con la necessità, a vita, di una nefrostomia poiché, a detta dei medici, mia madre nelle condizioni in cui si trova non avrebbe molte chances di sopravvivenza ad un intervento chirurgico di quella portata».
L’impossibilità di un rientro a casa
Di lì – ci racconta ancora la nostra lettrice – «dopo quasi due mesi di ospedale e con tutte le limitazioni che il Covid impone, tentiamo un post acuzie, cioè una casa di cura convenzionata dove “dovrebbero” continuare le cure. Si rivela tristemente un luogo dove i pazienti, tanto più se anziani, sono lasciati molto a se stessi per non dire altro… Terminato il periodo – due settimane infernali anche per l’impossibilità di poter entrare per le visite se non per mezz’ora a settimana – proviamo a riportarla a casa. Ma il tentativo si dimostra fallimentare poiché ritorna la febbre e quindi nuovamente il pericolo di setticemia».
Politiche inadeguate
È dunque chiaro, a quel punto, che la famiglia dovrà necessariamente ricorrere all’aiuto di una struttura che assista anche medicalmente l’anziana facendo i conti, però, con la penuria di strutture e, spesso, con la loro inadeguatezza. Come sottolinea ancora Michele Assandri su La Stampa: «Negli altri Paesi le classi politiche hanno saputo essere più lungimiranti. Basti dire che da noi l’ultimo piano di costruzione di Rsa finanziate dal pubblico risale agli Anni ’80. Da quel momento in poi ogni lavoro di sviluppo è avvenuto per iniziativa privata non regolamentata».
Assistenza a tempo
Una realtà così inadeguata rispetto alle esigenze che fa certamente sentire le famiglie molto disorientate. «Così – continua a raccontare la donna che testimonia della propria vicenda familiare – dopo un’ulteriore ospedalizzazione, ora mia madre è ricoverata in una delle pochissime strutture nelle quali è prevista un’assistenza estensiva chiamata tecnicamente R1 (ove siano presenti 24 ore 24 medici e personale infermieristico qualificato, ndr). Purtroppo solo per 3 mesi. Dopodiché sarà di nuovo valutata dai medici, ma essendo impossibilitata a muoversi stiamo cercando una struttura che possa accoglierla garantendo un’assistenza adeguata».
Un percorso a ostacoli reso ancora più complesso dalle questioni legate al Covid. Situazioni che necessariamente isolano gli anziani ospiti delle strutture di assistenza rispetto alle famiglie. «Ci si sente molto impotenti di fronte alle tante e grandi difficoltà che situazioni come questa, o addirittura peggiori, comportano. Spesso ci si deve battere strenuamente perché vengano riconosciuti quelli che sono i diritti inalienabili della persona rispettandone anche la dignità. Un tema spesso trascurato quando si è anziani».
Un futuro incerto
Ecco perché occorrerà ripensare il sistema di accoglienza delle persone in età avanzata e con fragilità. Soprattutto ora con l’invecchiamento progressivo della popolazione. «In prospettiva, molti senior non potranno pagare le strutture di cui hanno bisogno – dichiara sempre Michele Assandri di Anaste Piemonte a La Stampa – e sarà necessario l’intervento del fondo sanitario nazionale che potrà coprire il 50% della retta. In Italia, però, soltanto 35 posti su 100 ricevono questi aiuti. Tutto questo porta a dire che senza una regia pubblica ben calibrata, in futuro avremo una chiara emergenza sulla non autosufficienza».
Pochi specialisti a indicare la via
Intanto, oggi, la nostra lettrice racconta che «le assistenti sociali sono state davvero straordinarie nell’indicarci il percorso da intraprendere. Ma la burocrazia anche in questi casi disgraziati rende tutto enormemente complicato, senza considerare la difficoltà dell’anziano che purtroppo viene sradicato dal tessuto familiare e sociale nel quale è da sempre vissuto e si trova a gestire contemporaneamente un forte disagio psichico oltre che fisico. Un disagio non solo dovuto alle varie patologie in atto, ma anche alle ripercussioni complicate della pandemia che portano alla poca presenza dei familiari più intimi dovuta alle restrizioni vigenti».
Non c’è solo buio quindi. In fondo al tunnel si intravvede un po’ di luce. Se non fosse per la burocrazia, l’ascolto e l’aiuto di poche persone potrebbero rivelarsi molto più risolutivi di quanto si potrebbe pensare.
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