Dopo l’emergenza Coronavirus la Comunità di Sant’Egidio ha rivolto a cittadini e istituzioni l’invito a cambiare mentalità, a creare nuove iniziative di tutela per gli anziani. “Riumanizzare le nostre società” e agire contro una “società selettiva”: questo l’appello a cui anche l’Associazione 50&Più ha aderito, come ci racconta Gabriele Sampaolo, segretario generale di 50&Più. Un’iniziativa che trova spiegazione nelle parole di Giancarlo Penza, responsabile della Comunità di Sant’Egidio
Dallo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, all’ex presidente della Commissione Ue, Romano Prodi, al filofoso tedesco Jürgen Habermas passando per la scrittrice Simonetta Agnello Hornby e il sindaco di Danzica, Aleksandra Dulkiewicz. Ma anche l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi, il fondatore del Censis, Giuseppe De Rita e l’ex direttore Unesco, Stefania Giannini, nonché l’ex presidente del Parlamento europeo, Hans Gert Pöttering. Si estende sempre più il numero dei firmatari dell’appello Senza anziani non c’è futuro promosso da Sant’Egidio durante la crisi causata dal Covid-19 e sostenuto, oggi, anche dall’Associazione 50&Più.
Le ragioni dell’appello secondo la Comunità di Sant’Egidio
Abbiamo raggiunto Giancarlo Penza, responsabile anziani della Comunità di Sant’Egidio, per conoscere meglio ed approfondire le ragioni per cui sia nato l’appello.
Giancarlo Penza, perché avete deciso di dar vita a questa iniziativa?
La motivazione scaturisce direttamente dall’esperienza molto dolorosa che abbiamo vissuto in questi due mesi di pandemia, nei quali la metà dei decessi da Coronavirus in Europa ha riguardato anziani istituzionalizzati, che si trovavano a vivere in una condizione che è quella del cosiddetto servizio residenziale: in una casa di cura, in una casa di riposo o in una residenza sanitaria assistenziale. Tutto è nato dalla constatazione che, purtroppo, l’organizzazione della sanità in Europa si è trovata impreparata di fronte all’epidemia e ha fatto delle scelte, a volte, problematiche per il futuro.
A cosa si riferisce?
Al fatto che, in alcune circostanze, sono state negate quelle cure essenziali che avrebbero potuto far vivere gli anziani. Si è preferito fare delle scelte che privilegiassero altre fasce della popolazione rispetto a chi era più avanti con gli anni. Per noi è stata una conferma dolorosa che la vita non ha lo stesso valore a seconda dell’età che si ha. E se l’Europa prende questa deriva – che è un po’ economicistica ma anche antropologica – ci costruiremo un futuro molto pericoloso. Per tutti. Chiunque di noi, infatti, aspira a diventare anziano e dovremmo poter vivere la nostra condizione di anziani come persone che vengono rispettate, amate, curate, protette come tutti.
Cosa ci insegna quanto abbiamo vissuto?
La pandemia e gli eventi che sono stati generati da essa ci hanno mostrato con molta chiarezza che bisogna cambiare. Se effettivamente – come molti dicono – “niente sarà come prima”, quando avremo superato questa fase emergenziale e dovremo tirare le somme della nostra vita collettiva, occorrerà ripensare il sistema con cui affronteremo la debolezza e la fragilità della vecchiaia, che non dovrà essere confinata in alcuni luoghi separati dalla vita di tutti. Bisogna immaginare un modello di città amica, di città che darà valore anche ai fragili. E che, oltre a proteggerli, li valorizzi.
Tradotto cosa significa?
Meno istituti, meno luoghi di confinamento, più domiciliarità, più reti di protezione lì dove gli anziani vivono, perché noi tutti abbiamo bisogno degli anziani. Essi non sono elementi di scarto – per usare un’espressione di Papa Francesco – ma sono invece molto preziosi per la vita di tutti. Anche e soprattutto per la vita dei più giovani.
Perché 50&Più ha sottoscritto l’appello: le parole di Gabriele Sampaolo
«È anzitutto un impegno culturale, prima ancora che politico. La parità di trattamento e il diritto universale alle cure non si realizzano fintanto che non sono vissute come valore di una società intera». A dirlo è Gabriele Sampaolo, segretario generale di 50&Più, nel raccontare le ragioni dell’adesione dell’Associazione all’appello promosso dalla Comunità di Sant’Egidio.
Sampaolo, cosa ha spinto l’associazione 50&Più ad aderire all’appello di Sant’Egidio?
Abbiamo ritrovato in questo appello tante delle tesi che la 50&Più porta avanti dalla sua fondazione, nel 1974. Tutelare l’invecchiamento attivo e proteggere il ruolo della persona anziana sono infatti tra i pilastri dell’Associazione e poiché l’appello promuove, inoltre, una richiesta di parità di trattamento e di diritto universale alle cure non potevamo che sostenerlo convintamente.
In questi mesi – si legge nell’appello – «in molti Paesi di fronte all’esigenza della cura è emerso un modello che privilegia una sanità selettiva, che considera residuale la vita degli anziani». Come commenta?
È impensabile dover decidere se sia più giusto salvare la vita di un anziano o di un giovane che ha più anni davanti. Ci sono alternative che non possono proprio essere poste. Viviamo in una società che persegue il profitto e tutti i soggetti più deboli sono emarginati. Questo è il momento per definire modelli capaci di garantire parità di trattamento, diritto universale alle cure, conciliandoli con ciò che dà benessere reale alle persone.
Non solo, dunque, assistenza sanitaria…
La 50&Più è un’associazione di anziani vitali. Anziani vitali non perché abbiamo fatto una scelta selettiva ma perché abbiamo capito che, a fronte di una progressiva longevità, ci sono comportamenti, aspetti della vita che aggiungono vita e vitalità agli anni che sono ancora disponibili. E sono innanzitutto l’incontro, le relazioni buone con gli altri; poi, gli interessi, le passioni. C’è anche la possibilità, da parte dell’anziano, di offrire ad altri la propria esperienza, i propri valori. Realizzare iniziative insieme sono tutti elementi che producono vero benessere, prima ancora della condizione economica e della presenza di servizi.
Quindi guardare agli anziani non solo per i loro bisogni ma comprendendone anche i desideri?
Per noi è questo ciò che mantiene attivi e mantenersi attivi per un tempo più lungo possibile significa anche non aumentare il numero di persone non autosufficienti o che comunque hanno patologie che necessitano di cure specifiche.
Eppure, di anziani si torna a parlare solo ora che in tanti hanno perso la vita durante questa pandemia
Purtroppo l’emergenza ha sollevato e risvegliato temi che noi avevamo evidenziato per decenni e che oggi abbiamo toccato con mano. È un primo passo, però, questo rinnovato impegno: doveroso in un momento molto particolare in cui la sensibilità è più viva. Solo che ora è necessario che la politica recepisca queste istanze e le faccia proprie perché la questione non è soltanto ribadire principî a livello planetario: bisogna creare nuovi modelli.
L’appello ha un titolo significativo: “Senza anziani non c’è futuro”. Ma è proprio così? Senza anziani non c’è futuro?
È vero che senza anziani non c’è futuro ed è per due ragioni: primo perché rappresentano il passato e noi abbiamo sempre bisogno di lavorare sull’oggi tenendo presente le nostre radici per guardare al futuro. Senza anziani non c’è futuro perché essi stessi sono le radici. La seconda ragione è perché una società che non considera gli anziani è una società che mostra una carenza di valori che in definitiva, forse, è la cosa più grave perché senza valori comuni non si può progettare il futuro.
Chi volesse aderire all’appello “Senza anziani non c’è futuro” della Comunità di Sant’Egidio, può farlo collegandosi al link ufficiale dell’iniziativa.
© Riproduzione riservata