Pur sapendo quanto contino le piccole azioni individuali nella salvaguardia dell’ambiente, c’è chi rinuncia a fare la propria parte. Un comportamento da cui, però, può scaturire la sgradevole sensazione dell’eco-guilt.
Gettare mozziconi di sigaretta al parco, abbandonare rifiuti di plastica in spiaggia, buttare per terra i chewing gum masticati, prendere l’auto per brevi tragitti o semplicemente non fare correttamente la raccolta differenziata. Sono tutti comportamenti dannosi per l’ambiente, che provocano – o possono provocare – nei confronti di chi li compie un vero e proprio senso di colpa, il cosiddetto eco-guilt.
Letteralmente l’eco-guilt è il senso di colpa che proviamo quando facciamo qualcosa di sbagliato nei confronti dell’ambiente. Non stiamo facendo abbastanza per salvare il pianeta, continuiamo a inquinare, le nostre azioni quotidiane non bastano a fermare il riscaldamento globale e così siamo presi dallo sconforto, dalla paura, siamo assaliti da una sensazione sgradevole che può addirittura condurre all’immobilismo. Una sensazione che, secondo recenti studi, può fare più male che bene. Nel suo articolo Beyond the roots of human inaction: Fostering collective effort toward ecosystem conservation – pubblicato su Science – Elise Amel, docente di psicologia dell’Università di St. Thomas, a St. Paul (Minnesota) e presidente della Society of Environmental, Population and Conservation Psychology, spiega le motivazioni del fallimento delle campagne di educazione ambientale e di sensibilizzazione adottate fino a pochi anni fa. Amel sottolinea come gli sforzi impiegati per informare le persone, non abbiano portato a cambiamenti significativi nel comportamento: l’utilizzo della paura e del senso di colpa, infatti, non sono il metodo più efficace per spingere le persone verso un’azione duratura e costante nel tempo. Anzi, il senso di colpa può determinare il risultato opposto e cioè portare le persone a evitare del tutto la questione del riscaldamento globale, perché ci si considera sempre di più inadeguati ad affrontare la crisi climatica. In verità, negli ultimi anni, sono molti gli studi che si sono concentrati sull’impatto del cambiamento climatico sulla psiche umana. Come non ricordare il racconto di Greta Thunberg sulla propria depressione e il senso di ansia provocato dall’immobilismo degli adulti rispetto al problema ambientale? In effetti, ad essere più preoccupati per il progressivo degrado ambientale sono proprio i giovani delle cosiddetta Generazione Z. Rispetto all’eco-colpa, nonostante alcuni studi abbiano evidenziato che nel breve periodo possa portare a condurre stili di vita più virtuosi, come per esempio ridurre il consumo di carne o diventare plastic free, nel lungo periodo il rimorso non riuscirà a mantenere costante la motivazione. Le nostre scelte personali hanno un valore se s’inseriscono in una più ampia azione collettiva, e sembra dunque più giusto concentrarsi su come queste azioni possano creare cambiamenti sociali più estesi, piuttosto che cercare di essere più ecologici come consumatori. Del resto, nel dibattito climatico, c’è chi sostiene che il concetto di “impronta ecologica”, e cioè il nostro impatto individuale sul pianeta, sia stato inventato da Big Oil, cioè dalle multinazionali degli idrocarburi, nel tentativo di incolpare noi della loro avidità. Il loro scopo? Appellarsi ai comportamenti individuali, di efficacia limitata, per distrarre il pubblico dal pretendere interventi a livello sistemico (come nuove tasse o eliminazione graduale dei motori a scoppio) che potrebbero invece ridurre davvero la dipendenza delle nostre società dai combustibili fossili. Detto questo, non c’è dubbio sul fatto che le scelte quotidiane contano, eccome se contano. L’importante è considerarle come tasselli di una mobilitazione collettiva strategica. Se poi la dimensione dell’impegno collettivo non fa per voi, c’è addirittura chi si spinge oltre e arriva a definire una sorta di vademecum per “prevenire” i sensi di colpa per l’ambiente: impara dai tuoi errori, scegli la tua battaglia, concentrati su quello che puoi fare tu e non su cosa devono fare gli altri, usa l’eco-colpa come motivazione per fare meglio e, infine, il più importante: non perdere la speranza.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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