L’emergenza degli ultimi mesi sembra averci fatto guadagnare una maggiore consapevolezza della Natura e della sua biodiversità. Abbiamo avuto più tempo per osservarne la bellezza, per imparare la lezione che il virus ci ha dato.
Il lockdown potrebbe aver aiutato la causa ambientale? Per certi versi il minor impatto dell’uomo su alcuni ambienti ha favorito una ripresa degli spazi da parte di alcune specie animali e un miglioramento, magari solo temporaneo, degli ambienti urbani. «L’esempio più noto è il fratino – spiega a 50&Più Piero Genovesi, responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica dell’Ispra – che, come altre specie di uccelli, si riproduce sulle nostre spiagge, del quale abbiamo trovato tracce in zone che solitamente non frequentava perché mancavano le condizioni di tranquillità per la riproduzione. Esempi analoghi li abbiamo avuti fra gli uccelli acquatici e nei pressi delle aree urbane con volpi, cervi e caprioli. D’altro canto, però, la minore presenza dell’uomo ha significato anche meno controlli sulle specie come il cinghiale, e di questo non conosciamo ancora gli effetti».
Questo periodo ha contribuito a sviluppare una maggiore sensibilità nei confronti dell’ambiente?
I dati dell’Eurobarometro, cioè dei sondaggi che l’Unione Europea realizza periodicamente, sembrano indicare che le prime preoccupazioni non riguardano l’ambiente in sé ma la salute e la crisi economica; d’altro canto, però, abbiamo visto come quest’estate – dopo la fine del lockdown – ci sia stato un aumento di visite ai parchi naturali con tassi superiori alla media. L’impressione è che la pandemia abbia fatto comprendere l’importanza della natura e degli ambienti naturali, facendo ripensare alle priorità, almeno per una parte degli italiani. Anche se non ci sono numeri su questo, vedo maggiore attenzione verso la scienza e la ricerca in campo ambientale, ed una rinnovata consapevolezza che ecosistemi sani e più attenti alla salute possano influire positivamente sulla qualità della vita.
Come si può trasformare la ripresa dalla pandemia in opportunità per l’ambiente?
Ci sono sempre più studi, come quello dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes), che mettono in correlazione la natura e il rischio pandemia, influenzato dalla distruzione degli habitat e dall’aumento dell’interazione dell’uomo con la fauna selvatica. Per questo l’opportunità che ci viene offerta è quella di intraprendere nuove politiche di sviluppo più attente all’ecosistema, che potrebbero permetterci di vivere in modo più sicuro. E credo che il messaggio sia stato recepito.
Anche Lorenzo Ciccarese, responsabile dell’area Ispra per la conservazione delle specie e degli habitat, fra i ricercatori che hanno collaborato al Rapporto Ipbes, conferma a 50&Più l’importanza di cambiare rotta nel rapporto con la natura.
Cosa è emerso da questo studio circa i virus e i potenziali problemi per l’uomo?
Questo studio dice che ci sono decine di migliaia di virus in grado di originare pandemie come quella del Covid, quindi l’approccio basato solo sulla terapia è necessario ma non sufficiente, perché il rischio di avere nuove malattie in futuro è molto alto. Quindi non solo dobbiamo rivedere il rapporto con gli animali selvatici, ma anche rispettare le indicazioni che ci vengono dalla scienza e che dicono che abbiamo bisogno di conservare almeno il 30% del nostro territorio e degli oceani attraverso le aree protette. Bisogna fare prevenzione e non solo reagire alle emergenze, e questo anno ci ha permesso di ripensare l’approccio di controllo di queste zoonosi, le malattie trasmesse da uccelli e mammiferi. Per dare dei numeri, si stima che vi siano fino a 850mila virus in giro per il mondo, col rischio del salto di specie.
La consapevolezza sta passando anche dai consumi alimentari?
Certamente questa crisi ha fatto aumentare la sensibilità verso le cose che mangiamo, non solo sul come produciamo ma anche sulla distribuzione. Perché questa volta è andata bene e la grande distribuzione organizzata è riuscita a distribuire ingenti masse di frumento per soddisfare la domanda; in altre occasioni – penso al Continente africano -, in occasione dell’impennata dei prezzi, non è stato così. Aumentare la sicurezza alimentare significa restituire valore all’agricoltura, valorizzando le filiere corte e contrastando il consumo di suolo.
Qual è la più grande opportunità generata dalla crisi?
Non dobbiamo perdere questa occasione, come ricerca scientifica, per cercare di studiare quali siano i reali impatti dell’uomo sugli habitat. Una possibilità come questa di avere una presenza meno pervasiva dell’uomo non c’è mai stata offerta prima, e le risposte saranno utili per il futuro.
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