Una ricerca dell’Università Vita-salute San Raffaele e dell’Università degli studi di Milano analizza le politiche territoriali italiane in materia di cohousing per gli anziani.
La modalità della condivisione abitativa fra i senior risulta ancora poco conosciuta, e spesso viene sacrificata in favore delle più tradizionali strutture residenziali assistite. Le Regioni hanno mosso i primi passi verso la normalizzazione del senior cohousing. Eppure faticano a trasformare queste iniziative in politiche strutturate, con un settore pubblico in ritardo rispetto al terzo settore.
Le differenze fra regioni
Lo studio si è basato sugli ultimi piani sociali o socio-sanitari disponibili, oltre che sulle linee guida regionali. I dati mostrano come l’Italia sia indietro rispetto ad altri paesi europei. In particolare, quattro regioni (Abruzzo, Campania, Molise e Valle d’Aosta) sono ancora in fase di studio o approvazione di politiche regionali di condivisione abitativa. Altre nove regioni sono oggetto di invito formale alla sperimentazione in materia: Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria.
Basilicata, Sardegna e le province autonome di Trento e Bolzano dispongono già di norme più dettagliate sulla riconversione di strutture esistenti o la costruzione di nuove. Il Veneto ha fatto da apripista, sperimentando il cohousing nel 2013, con 1,2 milioni di euro, ma poi non è andato avanti con il progetto.
Insomma, il cohousing fra gli anziani resta ancora sulla carta nella maggior parte del territorio nazionale, anche perché spesso, nelle disposizioni regionali, manca una distinzione anche solo lessicale tra coabitazione intesa come condivisione di spazi domestici comuni nella stessa unità abitativa, e co-residenza, dove c’è condivisione di servizi ma si mantengono spazi privati nelle unità abitative.
I destinatari
Solo Emilia Romagna e Bolzano prevedono la possibilità di estendere il servizio a persone non autosufficienti. Il Piemonte è invece l’unica regione che consente anche la convivenza intergenerazionale.
“Eppure il cohousing è uno strumento che offre diversi benefici, perché migliora la qualità della vita, accresce l’autonomia funzionale, riduce gli eccessi inappropriati al pronto soccorso e le ospedalizzazioni – ha spiegato al portale Vita che ha pubblicato la ricerca Federico Pennestrì, uno degli autori dello studio – è un servizio per persone auto-determinanti più che autosufficienti. E ha senso se gli appartamentini sono realizzati in edifici accanto a strutture assistenziali, in modo da poter beneficiare di servizi in caso di bisogno, pur mantenendo la propria privacy che spesso viene sacrificata nelle Rsa tradizionali.”
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