Se state cercando un modo per rendere il vostro stile di vita rispettoso dell’ambiente, sappiate che lo shopping più etico e sostenibile in assoluto è quello vintage. Prolungare la durata di utilizzo di un oggetto, dare una seconda vita a un capo che qualcun altro non indosserà più, è un principio che, applicato su larga scala, significa anche meno materiali nuovi da produrre e dunque meno sprechi e inquinamento.
Upcycling, Recycling, riuso creativo non sono più pratiche virtuose di nicchia che hanno in comune la lotta alla cultura dell’usa e getta, ma rappresentano ormai vere e proprie strategie economiche innovative che hanno conquistato la frontiera del fashion system.
L’idea di dare nuova vita ad un oggetto (upcycling), incrocia trasversalmente il fenomeno del grande ritorno del vintage. Entrambi rispondono alle caratteristiche di sostenibilità, economia circolare e originalità che i consumatori cercano oggi.
Oggetti che possono raccontare una storia: collezionismo, design, modernariato, moto, auto, abbigliamento. Appartengono a quella che viene chiamata economia circolare. Nata dalla necessità di produrre, riducendo il nostro impatto sulle risorse naturali, oggi è alla base della transizione ecologica. Del resto, l’industria tessile è la seconda più inquinante al mondo per emissioni di gas serra, dopo quella petrolifera. E a dirlo sono i numeri. Impressionanti e in crescita continua.
Su un pianeta popolato da circa 7,6 miliardi di persone, l’industria della moda produce e vende tra gli 80 e i 150 miliardi di pezzi l’anno. Il problema è che quasi i tre quinti dei capi prodotti finiscono negli inceneritori e nelle discariche dopo qualche anno dalla produzione.
Se una volta gli oggetti venivano creati per durare nel tempo e rispondevano ad alti standard di qualità, oggi rischiano di essere buttati via nel giro di pochi mesi. I vestiti, ad esempio, avevano orli molto alti proprio per poterli adattare ai corpi e tramandarli di generazione in generazione. A lungo è stato più conveniente comprare qualcosa di nuovo piuttosto che aggiustare e recuperare. Almeno fino all’arrivo della filosofia del “Loved clothes last” (i capi amati durano). È insieme una dichiarazione d’intenti, oltre che d’amore, verso i vestiti che abbiamo da sempre nell’armadio e di cui non vogliamo liberarci. E se per anni si è cercato di rendere invisibili i segni del rammendo sui capi, oggi è diventato glamour fare esattamente il contrario. E così, il rattoppo in bella vista diventa una filosofia di vita, una moda che fa da contraltare al fast fashion, trasformando il difetto in un dettaglio unico ed esclusivo, da indossare con orgoglio. Anche perché modi e motivi per non sprecare sono infiniti, basti pensare che per smaltire una maglietta in poliestere ci vogliono 200 anni.
Non solo capi e indumenti, ma anche smartphone o computer. Se si rompono, oggi si tende a comprarne subito di nuovi e a buttare i vecchi, spesso senza sapere che i device, proprio per il loro impatto negativo sull’ambiente e sulla nostra salute, non sono spazzatura qualsiasi, ma rifiuti speciali: regolamentati per legge, ne produciamo quasi 18 kg l’anno per abitante. Indispensabile quindi buttarli nelle apposite isole ecologiche comunali attrezzate per lo smaltimento sul territorio, oppure… ripararli. Un gesto antico per soluzioni nuove, visto che, dopo l’Olanda, anche in Italia iniziano a diffondersi i “repair cafè”: una sorta di officine sociali dove artigiani ed esperti insegnano a riportare in vita oggetti destinati alla discarica.
Una cosa è certa, stando a quanto siglato nel Patto di Glasgow, attorno alla metà del secolo dovremmo imparare a vivere in un mondo a emissioni zero. Dai vestiti agli elettrodomestici, passando per un’innumerevole serie di oggetti, dovremmo ridurre il nostro impatto sul pianeta. E il vintage, second hand – chiamiamo questa tendenza come meglio crediamo – non solo può contribuire a centrare l’obiettivo, ma rappresenta la nuova frontiera della transizione ecologica di cui ognuno di noi può essere protagonista.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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