Domenica 12 giugno si torna alle urne per esprimersi sul referendum in tema di giustizia e, in tanti comuni italiani, per le elezioni amministrative. Il voto, che rappresenta un’espressione democratica, dà valore all’essere cittadini responsabili
L’inventore della sfida esistenziale e politica più simbolica (e divertente) della storia italiana, l’autore di Don Camillo e Peppone, Giovannino Guareschi, scriveva sul giornale satirico Candido tanti anni fa, nel pieno di un’altra guerra (rimasta “fredda”) tra Russia e Occidente: “Pensar non nuoce”. Un’esortazione e un invito alle donne e agli uomini di tutti i tempi a pensare con la propria testa, nonostante l’attività si riveli a tratti un po’ faticosa. Oggi ancora più faticosa, invero, soverchiati quali siamo da informazione, stimoli e notizie. Così, domenica 12 giugno torniamo alle urne, molti per le elezioni amministrative in tanti comuni italiani, tutti (teoricamente) perché chiamati a dare la nostra opinione su cinque quesiti referendari in tema di giustizia. In particolare, verrà chiesto agli italiani di rispondere “sì” o “no” su alcune questioni per nulla semplici che riguardano il tema della separazione delle carriere in magistratura (giudice o pm), il tema della decadenza della reiterazione del reato dalle cause di misure cautelari, il tema dell’incandidabilità automatica dei politici condannati, la questione della valutazione dei Magistrati, infine quella delle prerogative per candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura. Proprio tra le pagine di questo numero della rivista, troverete specifiche e contenuti relativi a questi cinque quesiti per approfondire significato ed implicazioni della propria preferenza per il “sì” o per il “no”. Sono informazioni preziose, non tanto e non solo per aiutarci a decidere “se” votare, ma per incoraggiarci a farlo. “La conoscenza rende liberi”, diceva Socrate, e il combinato disposto di libertà individuale e responsabilità verso gli altri è la migliore ricetta della democrazia. La nostra generazione ben ricorda gli inviti ad “andare al mare” per evitare il raggiungimento del quorum previsto per la validità del referendum abrogativo (50% +1 dei voti). L’astensione, che rimane pur sempre una scelta, rappresenta infatti un’espressione democratica a metà, soprattutto quando non è frutto di convinzione, ma di scarsità di interesse verso i temi in questione. Una scarsità di interesse che, come in questo caso, rischia di essere distratta dalle (allarmanti) notizie di cronaca ed alimentata dallo sforzo richiesto per comprendere i temi in oggetto. Pensare, insomma, non nuoce, ma richiede spesso un po’ di fatica. D’altro canto, abdicare a farlo – per stanchezza, noia o disimpegno – è un po’ come scegliere di essere “meno”: meno cittadini, meno responsabili, meno persone. Buon voto a tutti.
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