Sembra insensato ma è proprio così: in una società iperconnessa, sono sempre più le persone che soffrono di solitudine. Non un problema individuale, quindi, ma sociale. Qualcosa che può essere destinato a impattare severamente sulla salute del singolo, ma anche della collettività.
Stando a indagini pubblicate su The Lancet, la rivista scientifica inglese, la solitudine sarebbe una questione di salute pubblica paragonabile al fumo: dannosa per la salute fisica quanto 15 sigarette al giorno. Un problema al punto che nel Regno Unito come in Giappone esistono già da qualche anno – rispettivamente dal 2018 e dal 2021 – ministeri dedicati: il Ministero, appunto, della Solitudine.
Anziani a rischio
Si dirà: perché tanta apprensione per un fenomeno sempre esistito? Semplicemente perché finora non mai risultato diffuso così su larga scala. E gli anziani sono, in tale ambito, tra le persone più a rischio, seguite da giovani e giovanissimi che soffrono di isolamento sociale o, per ragioni di vario genere, cessano e in maniera preoccupante ogni contatto con la vita esterna.
Secondo l’indagine periodica nazionale sulla qualità della vita Passi d’Argento, risulta che in Italia il 15% degli anziani (2 milioni di over 65) viva in condizioni di solitudine sociale al punto che, in una settimana, non incontra né telefona a qualcuno e tanto meno partecipa ad attività sociali. E più si scende col livello economico e di istruzione, più aumenta l’isolamento.
Le conseguenze
Cosa possa comportare tutto ciò è presto detto. I medici infatti sostengono che vivere alienati dagli stimoli di un contesto sociale possa facilitare l’insorgenza di depressione. E non è tutto. A cascata, la solitudine può anche innescare fenomeni quali il cedere a forme di alcolismo, aggressività, ansia sociale, affanno, alterazione del sonno, pressione alta, accelerazione del battito cardiaco fino a pensieri suicidari.
Effetti tanto gravi al punto che tra gli studiosi si parla di vere e proprie epidemie comportamentali con conseguente abuso di condotte affatto positive per la salute. Negli Stati Uniti è certificato un aumento nei tassi annuali di morte per suicidio e overdose di oppiacei. Il che smentisce il pensiero che la solitudine, per come la osserviamo adesso, sia sempre esistita.
Solitudine, antica ma non troppo
Curioso, perciò, scoprire che fino al ‘700 la parola loneliness – solitudine – in inglese non esistesse proprio. La ragione? La consuetudine di vivere sempre assieme in piccole comunità. Una condizione che le nostre società tecnologicamente avanzate hanno dismesso e che la pandemia e i suoi effetti hanno sicuramente depotenziato.
Eppure, quello della solitudine è un fenomeno che va indagato specie se si pensa che maggiore è il numero di relazioni sociali e maggiore è la probabilità di sopravvivenza. Al contrario, chi sperimenta prolungata condizione di isolamento può semmai incorrere in rischi per la psiche e il fisico come la sedentarietà, l’obesità fino a forme di demenza.
Le ragioni
Quel che è certo è che le ragioni scatenanti di ogni forma di isolamento sono individuali e possono sprigionarsi da motivi collegati a salute precaria, un lutto, la perdita del lavoro, separazioni o dall’allontanamento dal proprio nucleo familiare o sociale, anche esclusivamente per divergenza di vedute.
La ricetta magica per interrompere una simile catena è chiaro non ci sia. Ma chiedere aiuto si può: ai presidi sanitari gratuiti attivi nei territori, nonché spingersi a fare quel passo in più. Un passo verso un parco frequentato dove incrociare altre persone o, magari, tentare la carta dello sport.
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