Si svolgeranno a luglio, nel rispetto di rigide regole di distanziamento. Le prove per il reclutamento di nuovi docenti nella scuola pubblica avranno tutt’altro aspetto in epoca Covid. I concorsi per le cattedre, infatti, in vista della riapertura di settembre, si svolgeranno in diversi giorni e con ingressi nei plessi necessariamente contingentati.
I tanto attesi quattro concorsi per assumere insegnanti – dalla primaria ai licei – sono entrati ora in Gazzetta Ufficiale. «Ventiquattromila nuovi docenti», ha annunciato il Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina, sperando che settembre sia davvero il calcio d’inizio per l’avvio di un nuovo anno.
Intanto, abbiamo provato a fare un bilancio di questo periodo di didattica a distanza con Mario Rusconi, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi del Lazio: «La scuola – ci ha detto – ha reagito a questa emergenza dovuta al Covid in un modo che forse noi stessi, persone che sono nella scuola da tempo, non ci saremmo aspettati».
Giudica quindi positivamente l’esperienza di questi mesi di didattica a distanza?
Sono stati pochissimi gli insegnanti che, magari per le motivazioni più speciose, si sono rifiutati. Normalmente c’è stato un grande interesse e partecipazione. Certo, non sono mancate le difficoltà che sono state soprattutto di natura tecnica: in primis, il vario numero delle piattaforme. Però, la partecipazione è stata alta. C’è, piuttosto, un problema grave che riguarda gli studenti: i piccoli della scuola dell’infanzia e dei primi anni delle elementari, nonché bambini e ragazzi disabili, hanno scontato la difficoltà di condividere con loro una didattica a distanza.
Più luci che ombre?
Bisogna ricordare che viviamo pur sempre in un Paese in cui l’Istat ha certificato che il 40% delle famiglie al Sud non ha un device – se non un telefonino – per collegarsi. Il che dimostra quanto siamo arretrati rispetto al resto d’Europa. Lo sappiamo da anni, soltanto che adesso, con il Covid, i nodi sono venuti al pettine. In più, in molti paesi, la connessione è lenta se non inesistente.
Per gli insegnanti senior – insomma, quelli in età più matura – è stato difficile uniformarsi a questo cambiamento?
L’atteggiamento dei docenti nei riguardi dei device è intergenerazionale. Ci sono anche docenti 60enni che sono dei “piccoli draghi” per quanto riguarda l’informatica. Il problema comune è piuttosto che stare oltre lo schermo non è uguale a stare in cattedra o comunque in aula. In genere – lo confermano anche diversi studi – le lezioni fatte dai professori italiani sono molto poco dialogiche – come si dice “ex cathedra” – e molto spazio è invece dedicato alle interrogazioni. Il computer, in questa quarantena, ti impone di fare altro. Non è pensabile ad esempio fare cinque, sei ore di fronte al pc. Le lezioni non dovrebbero riversare sui ragazzi un intero capitolo di italiano, matematica, storia o latino, ma essere lezioni interattive con slide e coinvolgimento dei ragazzi.
Sta venendo meno il rapporto docente/studenti?
I bambini dai 3 ai 7/8 anni stanno sicuramente patendo di più l’assenza dei maestri che, come si sa, sono degli autentici punti di riferimento. Ecco perché confidiamo molto sull’aiuto delle famiglie ben sapendo che, però, non tutte sono attrezzate e disponibili: talvolta, specie quelle dei più piccoli, vedono la scuola come un parcheggio. Il che ci dispiace molto.
Come lo vede il futuro della scuola?
Io sono più ottimista del professor Galli della Loggia che, nei giorni scorsi, ha scritto un articolo molto duro sulla scuola. La scuola, è vero, ha molte smagliature, molte difficoltà, però rimane il punto fermo di educazione dei nostri ragazzi. E scuola non significa solo licei, scuole importanti di grandi città, ma anche scuole professionali, istituti abbandonati da ragazzi che rischiano di finire nelle grinfie della criminalità. Ecco perché, oggi più che mai, la scuola ha un grande significato proprio per la tenuta civile di questo Paese.
Cosa comunica ai ragazzi ciò che stiamo vivendo?
Io spero che da questa esperienza negativa, che tutto il Paese sta attraversando, i ragazzi possano trarre un insegnamento: che le regole sono fondamentali. In momenti di grande difficoltà come questo, il rispetto delle regole è indispensabile perché significa vivere meglio, diventare cittadini più consapevoli, avere senso di responsabilità.
Il primo trimestre 2020 ha visto una flessione nella richiesta di pensionamenti anticipati. Con la pandemia in corso ritiene che ci saranno più insegnanti ad aderire a Quota 100?
Probabilmente sì. Corre voce – me lo dicono colleghi presidi – che ci sono diversi insegnanti, che hanno più di 55/60 anni, che hanno paura adesso di tornare a scuola persino per gli esami di maturità, perché – col Coronavirus – si è diffusa comprensibilmente una certa paura. Noi speriamo, però, che a fronte di questi pensionamenti ci sia la capacità di sostituirli con nuove forze.
I concorsi banditi cosa comporteranno?
Che dovrebbe esserci molto meno il balletto delle supplenze. Negativo per gli studenti ma anche per i docenti stessi che, pur essendo molto preparati, lavorano spesso per un periodo limitato e poi si trovano a spasso. Le nuove immissioni si spera possano di andare incontro al turn over.
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