Abbiamo il corpo docenti più anziano d’Europa. Come farà il nostro sistema scolastico a rispondere alle esigenze della pandemia? Tanti gli interrogativi da sciogliere.
Abbiamo chiesto loro di reinventarsi, ancora una volta. Dall’oggi al domani si sono ritrovati alle prese con videolezioni, programmi didattici da portare avanti, classi da gestire a distanza, compiti da somministrare, chat e conferenze alle ore più disparate del giorno. Perché gli insegnanti non si sono mai fermati. La pandemia del coronavirus non ha bloccato la scuola che, sin dai primi giorni dell’emergenza, ha adottato la modalità di “Didattica a distanza”.
Ed ecco che i docenti sono ritornati sui banchi (virtuali ovviamente), partecipando a seminari e webinar al fine di aggiornare le proprie competenze e fornire ai propri studenti il maggior supporto possibile. Ed adesso rischiano di rimanere fuori.
La scuola che a settembre si prepara a riaprire i battenti, infatti, sarà molto ridimensionata. E lo sarà in primis il corpo docente. Un documento dell’Inail, preparato dagli esperti in vista della riapertura delle attività, sottolinea il bisogno di una “sorveglianza sanitaria eccezionale per i lavoratori con età superiore ai 55 anni”. Per loro, in assenza di copertura immunitaria adeguata, ovvero test sierologici, si dovrà valutare la possibilità di un giudizio di “inidoneità temporanea al lavoro da rivalutare a scadenze fissate”.
Del resto, i dati degli osservatori internazionali dell’Ocse parlano chiaro: l’Italia conta gli insegnanti più anziani d’Europa, con un’età media di 49 anni. Più della metà del corpo docenti è già avanti nella carriera. Gli insegnanti over 50 sono il 49% del totale. Questo significa che il 30% dei docenti (ovvero gli over 55) dovrebbe essere sottoposto a test e sorveglianza. Ancor più allarmante il dato che riguarda i dirigenti scolastici: il 46% ha più di 60 anni e un altro 20% rientra nella fascia d’età tra i 55 e i 60. Come potranno, dunque, gestire la ripartenza delle loro scuole da remoto, rimanendo nelle loro case? Sono tanti gli interrogativi che attanagliano gli insegnanti.
Tonino De Giorgio di anni ne ha 60, insegna Filosofia e Scienze umane in un liceo in Calabria. Non ha patologie particolari, quindi è fiducioso e crede che, a settembre, sarà di nuovo in aula. Non mancano, però, alcune considerazioni sul mestiere: «Appena qualche mese fa, quando chiedevamo come limite i 65 anni perché insegnare è usurante, ci siamo sentiti rispondere che potevamo benissimo arrivare ai 67. Adesso, invece, dopo i 55 anni veniamo considerati l’anello debole». Nella sua scuola i docenti sono 108, la metà dei quali sono over 55. «Il problema sarà come ricominciare – afferma -, il distanziamento sociale è molto difficile da rispettare, soprattutto al Sud. Siamo abituati ad interfacciarci con classi pollaio, servizi igienici deficitari e pulizia che lascia a desiderare. Mascherine e guanti potrebbero essere un aiuto, ma la sanificazione delle aule a fine lezione la vedo dura».
Luigia Scorrano vive ed insegna a Gallipoli. Ha 56 anni ed è di ruolo dal 1991. «Spero e mi auguro di poter lavorare ancora, perché amo troppo il mio lavoro. Sto facendo ogni giorno videolezioni per non perdere il contatto con i miei bambini di quarta primaria. A loro manca la scuola, ed io cerco di dare più che posso», racconta Luigia.
Anche Annalisa Lucibello ha la stessa età e qualche preoccupazione in più: «Da un decennio soffro di una doppia sindrome autoimmune, e se non dovessi essere più idonea a fare questo mestiere?», si chiede.
Erminia Tassone è una 65enne ed ha l’80% di invalidità a causa di una malattia autoimmune: «In questi mesi mi sono chiusa in casa per paura – racconta -, ho lavorato con i miei allievi in modo intensivo. Adesso mi trovo con più problemi agli occhi, a causa delle troppe ore passate davanti al computer. Non so se i miei sacrifici valgano a qualcosa, di sicuro quando arrivo alla sera sono stravolta. Mi piacerebbe lavorare ancora un anno per portare i miei allievi in quinta, ma dubito che ne avrò la possibilità».
E c’è anche chi, a settembre, sa per certo di non tornare in cattedra. «Non lo immaginavo così il mio ultimo anno di insegnamento. Pensavo di fare una gran festa, a fine anno, con i bambini, e poi con i colleghi. Ed invece mi sono ritrovata, ancora una volta, a mettermi in gioco, a sperimentare modalità mai utilizzate prima». A parlare è la maestra Antonella Vinci, che di anni ne ha 62, insegna ad Alatri (Frosinone). A fine mese andrà in pensione. «Non sono una persona tecnologica, ho fatto molta fatica ad allinearmi alla Dad. Io vivo sola, non ho nessuno che mi aiuti, al contrario di molte colleghe che si sono aggrappate ai figli».
Anche per Mariateresa Citino è arrivato il tempo dei bilanci: «I ragazzi sono stati chiamati ad essere presenti e a dare il meglio di loro in quanto conoscitori dei mezzi per la Didattica a distanza. Hanno risposto in modo serio e positivo, ed abbiamo fatto un bel percorso insieme. Ricorderò per sempre questo mio ultimo anno di insegnamento».
Ministero dell’Istruzione: “Sì alle scuole aperte, ma in sicurezza”
Il Ministero dell’Istruzione sta lavorando sodo per mettere a punto un sistema che consenta di mantenere la sicurezza, ma anche di riprendere la didattica in presenza, requisito imprescindibile per un buon apprendimento. «Non si può ripartire con la didattica a distanza, soprattutto per le fasce dei più piccoli: scuola dell’infanzia e primaria hanno bisogno della presenza fisica», ha affermato il sottosegretario al Ministero dell’Istruzione, Peppe De Cristofaro. «Dobbiamo trovare soluzioni che garantiscano la riapertura in sicurezza, perché il rischio è l’aumento di abbandono, dispersione e povertà educativa».
Dal Ministero fanno sapere che bisogna puntare, in primis, a recuperare tutti quelli che si sono persi per strada, non solo a causa di mancanza di devices o di labili connessioni, ma anche per fragilità emotiva, psicologica, per mancanza di stimoli e motivazione.
Recuperare il debito contratto nei confronti di questi studenti: ecco il primo imperativo di una scuola che mira ad essere a misura Covid-19. «Dobbiamo puntare ad una scuola che sia inclusiva – prosegue De Cristofaro -; per farlo abbiamo bisogno di più investimenti, più risorse, più scuole e aule attrezzate, più docenti, più personale. Ed un meno: meno studenti in classe».
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