Cresce l’allarme per il declino della calligrafia tra i più giovani: l’abbandono della scrittura manuale solleva interrogativi su apprendimento, creatività e memoria, mentre si discute di come rilanciarne l’importanza.
Un tempo, scrivere una lettera a mano non era solo un gesto quotidiano, ma anche un modo per esprimere attenzione e cura. Oggi, quel gesto sembra destinato a diventare un ricordo del passato. Ne è un esempio una lettera del 1955 scritta dal giovane Carlo, oggi re Carlo III, alla Regina Madre malata.
Con una grafia tonda e ben leggibile, tipica di un bambino di sette anni, il futuro sovrano augurava alla nonna una pronta guarigione. Quella stessa calligrafia, che un tempo era motivo di orgoglio, oggi appare come un’arte in estinzione, simbolo di un’epoca in cui le mani tracciavano le parole con cura e attenzione.
Scrivere poco. E male
Secondo il quotidiano britannico The Telegraph, i bambini di oggi non solo scrivono molto meno a mano, ma spesso lo fanno in modo quasi incomprensibile. Il problema non riguarda solo la forma delle lettere – ormai sempre più trascurata – ma si estende a una perdita di abilità che coinvolge apprendimento e creatività.
Il declino della calligrafia
In Italia, il ritorno all’attenzione per la scrittura manuale è stato sollecitato anche da iniziative come l’introduzione del diario delle elementari, voluto dal Ministero dell’Istruzione sotto Giuseppe Valditara. Tuttavia, il declino della calligrafia sembra essere un fenomeno globale. Secondo l’Osservatorio carta, penna e digitale della Fondazione Einaudi, i casi di disgrafia – ovvero difficoltà nella scrittura manuale – sono aumentati del 163% negli ultimi dieci anni. Il dato è impressionante e solleva interrogativi sull’impatto della crescente dipendenza da dispositivi digitali.
Il caso del Regno Unito
Anche nel Regno Unito, dove il curriculum scolastico nazionale richiede che i bambini imparino a scrivere in modo chiaro e fluente entro gli 11 anni, la realtà è ben diversa. Secondo uno studio del National Literacy Trust su 76 mila bambini, solo uno su dieci scrive a mano ogni giorno, contro il 50% di quattordici anni fa. Non è un caso che il declino della scrittura manuale sia iniziato proprio con l’arrivo sul mercato del primo iPhone, nel 2007.
Uno stimolo per l’apprendimento
Gli esperti sono concordi nel sottolineare che questa perdita non è solo estetica, ma ha implicazioni profonde per lo sviluppo cognitivo. Paolo D’Achille, presidente dell’Accademia della Crusca, evidenzia che la scrittura a mano coinvolge l’intero corpo, favorendo un’interiorizzazione del linguaggio che non può essere replicata dalle tastiere. Anche il neurologo Antonio Suppa sottolinea che scrivere a mano stimola memoria, apprendimento e creatività, richiedendo un livello di attenzione e coinvolgimento superiore rispetto alla digitazione.
Studi condotti in Norvegia, Stati Uniti e Giappone confermano che l’atto di scrivere con una penna non è solo un gesto pratico, ma una vera e propria azione cognitivo-motoria, capace di rafforzare la memoria e l’apprendimento.
In “difesa della penna”
Non mancano tuttavia iniziative per rilanciare l’importanza della scrittura manuale. Nel Regno Unito, Mellissa Prunty, presidente della National Handwriting Association, ha proposto che la scrittura a mano venga insegnata anche nelle scuole secondarie. In Italia, invece, è stato formato un intergruppo parlamentare dedicato alla difesa della penna.
In Italia, una recente proposta di legge già approvata in commissione Cultura alla Camera, mira a istituire una “Settimana nazionale della scrittura a mano” e a candidare la calligrafia come patrimonio dell’umanità Unesco. L’obiettivo è duplice: da un lato promuovere lo sviluppo cognitivo, dall’altro difendere un elemento fondamentale della cultura italiana e occidentale.
Oltre agli aspetti educativi, la scrittura manuale ha anche un valore personale e identitario. La grafologa Valeria Angelini spiega che ogni tratto di penna racconta qualcosa di unico sulla persona che scrive: dalla pressione esercitata sul foglio al ritmo e alla fluidità del gesto, ogni elemento contribuisce a creare uno stile irripetibile, quasi una firma dell’individualità.
La scrittura come linguaggio
Nonostante questi sforzi, il ritorno alla calligrafia non può ignorare le trasformazioni culturali e tecnologiche in atto. Franco Lorenzoni, insegnante della scuola elementare di Cenci, in Umbria, offre una riflessione: “oggi i bambini sanno usare le tastiere ma faticano ad allacciarsi le scarpe”.
Per questo propone di reintrodurre attività manuali come modellare la creta, dipingere o lavorare la terra, sottolineando che l’uso delle mani è una forma di intelligenza che va ben oltre la digitazione. Tuttavia, avverte, la scrittura manuale non deve diventare un dogma, piuttosto uno dei tanti linguaggi da valorizzare all’interno di una didattica più ricca e inclusiva.
Il giusto equilibrio
La sfida, dunque, è trovare un equilibrio tra tradizione e innovazione, senza rinunciare a un elemento essenziale per lo sviluppo cognitivo e culturale delle nuove generazioni. Perché, se è vero che il futuro è digitale, è altrettanto vero che c’è ancora molto da imparare dal semplice gesto di impugnare una penna e tracciare una lettera su un foglio.
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