Quella di Scott C. Newman potrebbe essere una vita come tante, se non fosse che ad appena 40 anni gli viene diagnosticata una forma precoce di Parkinson. All’epoca Scott è all’apice della sua carriera, procuratore di Stato nella Contea di Marion, in Indiana. All’improvviso sente il mondo crollargli addosso e per due anni non fa altro che nascondere come meglio può quel tremito continuo. Fino a quando i sintomi non possono più essere celati.
È a quel punto che un suo amico, Vince Perez, si rende conto che Scott ha bisogno di sfogare la frustrazione e la rabbia per quello che gli succede. Vince ha un passato come pugile esperto e studia solo per il suo amico un programma di allenamento in grado di “attaccare” il Parkinson nei suoi punti vulnerabili.
Lo introduce al mondo della boxe, convinto che “tirare due pugni” possa cambiare il suo modo di vedere le cose. In realtà, quel battesimo del fuoco con la “nobile arte” farà molto di più. Dopo sei settimane di intenso allenamento, infatti, è lo stesso Scott a notare miglioramenti nella sua capacità di scrivere.
Sia lui che Vince finiscono col rendersi conto che la loro esperienza potrebbe essere replicata da altre persone. Quindi, nel 2005, fondano la Rock Steady Boxing, un’organizzazione no profit con un vasto programma di lezioni, capace di affrontare mediante il fitness pugilistico tutte le fasi del Parkinson: si parte dalle nuove diagnosi alla situazione di coloro che ormai convivono da decenni con la malattia.
L’allenamento su misura aiuta a migliorare la coordinazione occhio-mano, il gioco dei piedi e la forza. Gli esercizi di agilità, velocità e resistenza possono variare, ma hanno lo stesso scopo: aumentare le capacità del paziente.
Sembra incredibile, eppure quella mistura di sudore, fatica e allenamento riesce a donare una speranza in più a chi è affetto dal Parkinson. Offre la possibilità di combattere contro un avversario invisibile, contro il tempo stesso, contro la logica della malattia che spesso finisce per trascinare verso il basso. Basta mettersi i guantoni e affidarsi al metodo, non perdersi d’animo.
Grazie ai risultati ottenuti e comprovati, oggi il format Rock Steady viene applicato in ben 405 strutture sparse per il mondo.
Boxe e Parkinson in Italia
Allenarsi a pugilato per contrastarne i sintomi. È la strategia dell’Associazione “Un gancio al Parkinson”
In Italia, “l’approccio” americano al Parkinson è stato mutuato da diverse realtà che praticano la boxe. Una fra queste è l’Associazione “Un gancio al Parkinson”, nata per limitare i danni della malattia neurodegenerativa che irrigidisce i muscoli e rende complessi – se non impossibili – i movimenti e la parola. «La boxe – secondo lo stesso presidente dell’associazione, Maurizio Bertoni -, oltre ad essere uno degli sport più antichi al mondo, è anche uno dei più completi, perché sviluppa coordinazione dei movimenti, equilibrio, riflessi, ed elasticità dei muscoli. Allenare queste qualità, che si perdono in occasione di patologie neurodegenerative, come il Parkinson, migliora la qualità di vita dei pazienti, anche in fase avanzata della malattia».
I dati rilevati dall’associazione sono incoraggianti, anche se condotti su un numero limitato di pazienti: dopo un periodo di tre mesi di boxe, tutti hanno mostrato un miglioramento in alcuni test che erano stati eseguiti all’inizio del trattamento. I test, confrontati con quelli eseguiti al termine del periodo, erano l’Up and Go, il test di equilibrio su Pedana Kistler e quello di Reaction Time con strumentazione Senaptec.
La strada, insomma, sembra essere quella giusta, anche se servono ancora conferme ed uno studio più ampio sul rapporto tra boxe e Parkinson.
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