Nuovi studi sulle ossa ritrovate nel sud-ovest dell’isola dimostrano che ancora nell’età del bronzo vi si praticavano riti antropofagi.
L’impressione immediata degli studiosi è che l’evento attestato da quei resti non potesse essere isolato. Il professor Rick Schulting, docente di archeologia all’Università di Oxford e guida dello studio sulle ossa ritrovate in una fossa comune dell’età del bronzo, ha affermato che considerare quell’evento unico è fuorviante. Un episodio così traumatico ha certamente causato omicidi o vendette. È incredibile che ciò sia avvenuto senza conseguenze. Di fatto, si tratta della prova scientifica che in quel periodo si praticava il cannibalismo in Gran Bretagna, un’ipotesi finora mai considerata dagli studiosi.
La scoperta
Nel Somerset, regione a sud-ovest dell’Inghilterra, tra il 2210 e il 2010 a.C., avvenne un massacro. Nel 1970, alcuni speleologi trovarono numerose ossa umane e frammenti nel Charterhouse Warren Farm Shaft, un pozzo naturale profondo circa 20 metri, disseminate tra sedimenti, cocci, manufatti e resti di bovini e altri animali. Due successive campagne di scavi (1972-76 e 1983-86) identificarono oltre 3.000 ossa, appartenenti ad almeno 37 uomini, donne e bambini. Fino ad ora, gli studiosi le avevano considerate parte di una sepoltura di villaggio, precedente all’epoca in cui la cremazione divenne pratica comune (XX secolo a.C.).
Il nuovo studio
Nell’ultimo anno, un gruppo di studiosi di varie università inglesi e spagnole, coordinate dal Laboratorio di Archeologia dell’Università di Oxford, ha analizzato più a fondo quelle ossa. I risultati, focalizzati sulle prove di trauma scheletrico e manipolazione dei corpi, sulla datazione al radiocarbonio e sulle analisi isotopiche, sono stati pubblicati sulla rivista Antiquity dell’Università di Cambridge.
Lo studio evidenzia un massacro, non derivante da uno scontro armato tra gruppi – le ossa non presentano ferite da archi e frecce – ma da una violenza ravvicinata. Gli abitanti di un piccolo villaggio morirono per colpi di strumenti contundenti; qualcuno li smembrò e spolpò sistematicamente, fratturando le ossa lunghe in una vera carneficina.
Il cannibalismo
Le vittime di Charterhouse erano probabilmente prigioniere o colte di sorpresa, una tattica comune nelle guerre tra piccole comunità. La loro morte fu quasi certamente il risultato di un singolo evento, che le lasciò smembrate e spogliate della carne, probabilmente una vendetta o la violazione di un grave tabù sociale. L’aspetto inaspettato non è solo la violenza del massacro – le lesioni ossee mostrano il taglio di pelle, muscoli, lingua, persino il midollo – ma il fatto che i frammenti più piccoli di mani e piedi presentano segni di rosicchiamento, compatibili con i molari umani.
Probabilmente qualcuno mangiò in parte le vittime durante un banchetto cerimoniale dopo la carneficina; un evento al quale, considerando il numero di animali e umani consumati, potrebbero aver partecipato centinaia di persone. Fu un rituale, praticato in un contesto di conflitto violento, in cui i partecipanti disumanizzarono le vittime, trattandole come bestie, separando così il cannibalismo dalla vita quotidiana.
La Grotta di Gough
A soli 3 km di distanza, nella Grotta di Gough, furono ritrovati resti umani con tracce di cannibalismo risalenti al 12.700 a.C., oltre dieci millenni prima. Qualcuno aprì e morsicò le ossa per estrarne il midollo, separando attentamente i tessuti molli e incidendo motivi a zig-zag, segni di smembramento e macellazione di almeno sei individui. 15.000 anni fa, la pratica dell’antropofagia era diffusa in Europa come rito funerario, come dimostrano almeno 13 scavi del Paleolitico superiore.
La civiltà magdaleniana la considerava un fatto culturale, non dettato da necessità ma dall’idea di acquisire le qualità dei defunti. Sembra che la successiva civiltà epigravettiana abbia diffuso nel continente la pratica delle sepolture primarie, in cui i corpi non venivano più spostati.
La “violenza come performance”
L’evento di Charterhouse fu una forma estrema di violenza spettacolare, il cui obiettivo non era solo sradicare un altro gruppo, ma alterarne completamente il processo evolutivo. Fu una dichiarazione politica che risuonò nella regione e nel tempo e che ebbe certamente precursori e conseguenze. La conservazione dei resti di quel massacro si deve alla loro rimozione e al loro lancio in un crepaccio, rendendo la scoperta puramente accidentale. Se li avessero lasciati allo scoperto o in una fossa poco profonda, la loro conservazione per millenni sarebbe stata impossibile. Come certamente avvenuto ad altre prove di eventi simili, sarebbero andati “persi nella storia”.
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