Giuseppe Sciacca.
Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Catania esercita la professione nell’ambito del diritto del lavoro e gestisce per diletto un blog. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Catania.
Chi è Ermione? Questo nome poco comune, tornato alla notorietà con la fortunata serie dei romanzi di Harry Potter, individua delle donne che hanno qualcosa che appartiene solo a loro? Che legami ha la streghetta inglese, dei racconti per ragazzi che hanno appassionato tantissimi adulti, con la donna silvestre di D’Annunzio, resa immortale dai versi de “La pioggia nel pineto?”, o ancora con la protagonista abbandonata dal melodramma rossiniano, e andando molto a ritroso nel tempo, così tanto da giungere all’epoca della guerra di Troia, per riscoprire una giovane donna molto bella, che risponde a questo nome e che avrà il destino di essere promessa in sposa a due diversi uomini, che ciascuno vorrà per se ad ogni costo. Percorrendo queste narrazioni, tutte fuori dalla realtà, scopriremo, se esiste, o meno, un fil rouge che collega le meravigliose creature a cui è stato imposto questo nome e ciò che le accomuna nell’anima. Cominciamo a rivolgere la nostra attenzione a quella certamente più prossima a noi e forse anche più nota, Hermione Granger. Uno dei personaggi principali e più interessanti dei racconti fantastici della fortunata saga del maghetto, della scrittrice inglese J.K. Rowling. Per conoscere meglio la personalità della nostra giovanissima ed intraprendente eroina, è bene ascoltare le parole di colei che con la sua penna, negli anni novanta, le ha dato la vita. La scrittrice ha sempre dichiarato, senza mezzi termini, che per l’ideazione del personaggio di Hermione ha preso a modello sé stessa, all’età di undici anni. Ovviamente, come è intuibile la trasposizione romanzata è avvenuta con le dovute aggiunte, e conseguenti necessari aggiustamenti della sua personalità. Tra tutti i personaggi con cui Hermione condivide le avventure presso la scuola di magia e stregoneria del Regno Unito di Hogwarts, lei spicca per essere estremamente intelligente, immediata, concretamente capace ed ancor più per la sua sensibilità e generosità, grazie alla quale non farà mai mancare il suo aiuto a Ron, Harry e Neville e non soltanto per fare i compiti. Tende, però, facilmente ad adombrarsi e persino ad essere piuttosto litigiosa e facilmente irritabile, mostrando, il suo grande limite caratteriale, di non saper sempre apprezzare lo spirito goliardico dei suoi fidati ed inseparabili amici. Ma Hermione è un piccolo genio, ha acquisito, con uno studio costante ed accurato, un grande sapere e per questo rischia di diventare anche antipatica per il suo “so tutto io”. La vita e i sentimenti di Hermione sono divisi tra Harry e Ron, suscitando tra i due inevitabili competizioni e tensioni. Sposerà, da grande, quest’ultimo, che malgrado le nozze, serberà, sempre, nel suo animo, il timore che la ragazza possa in fondo preferire Harry. Ora, facendo un grande salto all’indietro nel tempo di oltre 3200 anni, quindi in un’epoca molto lontana e tutto diversa dalla nostra, scopriamo che anche la prima Ermione è vissuta in un mondo mitico e leggendario, ma poco fiabesco, in una comunità patriarcale improntata ad un ferreo maschilismo e quindi molto lontano anche per i costumi da quella moderna della omonima maghetta di cui ci siamo appena occupati. Era un mondo, per altro verso, allo stesso tempo, molto ricco di propri valori, ed in quei giorni ormai tanto lontani, una umanità ancora in fasce poneva le fondamenta della cultura, dell’arte e della civiltà dei nostri giorni. Era il mondo classico dei greci, nell’ambito del quale è collocata a pieno titolo la vita di questa prima Ermione, che ebbe i suoi natali in una regia. Era l’unica figlia di Menelao re di Sparta e di Elena, la regina per la quale i greci combatterono, per dieci lunghi anni davanti alle mura della assediata Troia, la donna che sedotta da Paride abbandona la corte del marito, per trasferirsi presso quella dell’amato. Era nota come la sposa più bella del mondo, ma Afrodite la aveva promessa a Paride, per indurre costui ad assegnarle quello che ancor oggi viene ricordato come il pomo della discordia. Il volere degli dei capricciosi è fato e dal destino non si sfugge. Una mela tutta d’oro con la scritta “alla più bella”, la cui assegnazione mise l’una contro l’altra le tre più importanti divinità femminili dell’Olimpo, e da cui ebbe origine la stessa guerra di Troia. Ermione al momento del ratto della madre, o meglio della fuga d’amore, aveva solo nove anni e ben presto da quel momento, priva della tutela materna, dovrà confrontarsi con la società patriarcale ed assai dura, dei suoi tempi, in cui ci sarà sempre un uomo a decidere per lei. Era stata promessa in sposa dal padre, ancora bambina a suo cugino Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, prima che scoppiasse la guerra di Troia. Ma durante la lunga guerra, per evidenti ragioni di opportunità, la promessa era stata ritrattata ed era stata destinata a Neottolemo, figlio di Achille, giacché la forza e l’abilità nel combattimento di quest’eroe erano necessari per la vittoria. Finita la lunga e sanguinosa guerra, Ermione inevitabilmente divenne motivo di contesa tra i due uomini. Venne mantenuto l’impegno preso e sposata, in forza del suo buon diritto, a Neottolemo. La loro unione non generò figli, mentre il marito di Ermione si trovava a Delfi per interrogare l’oracolo e conoscere le ragioni della sterilità del matrimonio, Oreste, che continuava ad amare Ermione, non esitò a sporcare le sue mani del sangue del rivale e lo uccise, deliberatamente, organizzando un vero e proprio attentato. Così poté finalmente sposare l’amata. La loro unione fu allietata dalla nascita di un unico figlio, ma Oreste, malgrado l’amore, non mancherà di distrarsi dall’amata per altre donne per poi fare ritorno da lei. Della personalità di questa prima Ermione ben poco ci è dato conoscere, ci giunge dai diversi scritti che la riguardano il forte senso di dignità con cui seppe affrontare le traversie della sua vita, ci viene suggerito che questa qualità le derivi dal nome, che è il femminile di Ermes (Mercurio) o che può significare, anche, sacra a questo divinità, a cui viene attribuito tutto ciò che è mentale, che non comunica, ma allo stesso tempo è mobile, evolutivo, che è legato alla abilità, all’intelligenza razionale e pratica, all’essere programmatici e alla creatività. Ermione, nell’arte, è pure il nome di una importante opera lirica di Gioacchino Rossini, il cui libretto era stato scritto da Andrea Leone Tottola. L’opera debuttò, nel 1819 al San Carlo di Napoli e la sua prima fu un clamoroso insuccesso, di portata tale da indurre il maestro a ritirarla immediatamente dalla scena e tenerla nel cassetto per parecchi anni. L’opera, che mette in luce la genialità del suo compositore, presenta elementi di assoluta modernità, tali che ancor oggi restano poco compresi e che certamente non potevano essere mai accettati dal pubblico accorso da ogni dove a Napoli, nell’ottocento, per il suo debutto. Sono presenti nella melodia elementi inquietanti che preludevano al nascente romanticismo. Ancor oggi l’esecuzione teatrale di quest’opera presenta elementi di grande difficoltà interpretativa ed esecutiva. Una sua importante, ma non senza incomprensioni, riedizione al San Carlo, tenutasi l’anno scorso, le è valso, sulla stampa, l’appellativo di capolavoro incendiario di Rossini, sugli amori non corrisposti. Un amore grande, ma non immediatamente corrisposto è stato quello tra il poeta Gabriele D’Annunzio e l’attrice teatrale Eleonora Duse, ispiratrice della celeberrima poesia “La pioggia nel pineto”, composta tra il luglio e l’agosto del 1902, per celebrare l’amore ardente, passionale e talvolta interessato, ma sempre sublime e travolgente che, per oltre un decennio, colmò di passione la vita dei due grandi artisti amanti. Come è noto, i versi ci raccontano della donna amata, Ermione, che accompagna il poeta in una passeggiata estiva nel bosco, quando all’improvviso li sorprende un temporale lasciandoli soli ed intimi, in una atmosfera surreale ed i due innamorati alla fine sono una cosa sola con la natura del bosco. L’amata rappresenta non solo una donna, o la donna, ma il pensiero dimenticato e puro in cui rifugiarsi lasciandosi alle spalle il mondo e i suoi clamori. Eleonora Duse già era una attrice di teatro famosa, quando D’Annunzio cominciava a guadagnarsi la prima notorietà, era ritenuta l’attrice più grande del momento, una vera celebrità, il simbolo stesso della Bella Epoque. I due si incontrarono per la prima volta nel 1882, ma parecchi anni dopo avrà inizio la loro tormentata relazione, che finirà per un’ultima impennata d’orgoglio delle Duse nel 1904. Come mai questa passione abbia avuto bisogno di tanto tempo per sbocciare non è cosa nota, ma è immaginabile che le azzardate e ripetute iniziative del poeta, siano state non poco deletarie. Si pensi che nel 1882, a Roma, D’Annunzio appena incontra la Duse, sebbene non avesse alcun rapporto con lei, le chiese, né più né meno, di andare a letto insieme. La sin troppo disinvolta proposta non poteva non irritare la celebre artista. Ogni occasione di incontro tra i due venne a cessare per parecchio tempo, ma, successivamente, sempre a Roma, nel 1888, D’Annunzio si introdusse dietro le quinte delle scene e si parò innanzi alla Duse, che si accingeva a fare ritorno nel proprio camerino, dopo aver recitato nel ruolo dell’infelice Signora delle camelie, apostrofandola “O grande amatrice”. Neanche questo ardito tentativo era destinato la successo. D’Annunzio dovrà attendere il 1892, per riuscire ad attirare favorevolmente l’attenzione della donna, che veniva definita, dai contemporanei, più che bella nella luce del suo pallore. Ci riuscirà inviandole una copia del suo libro “Elegie romane” con una dedica vergata di pugno dal “poeta vate” che impressionò non poco la Duse. La relazione non fu né semplice, né lineare a causa dei continui tradimenti “dell’immaginifico” poeta, che non disdegnava, all’occasione, di farsi mantenere dall’amata. Si dice che il D’Annunzio abbia amato, nel corso della sua vita, quattromila donne. Egli teneva a precisare di non aver mai accolto tra le proprie braccia donne comuni; tra le amate si enumera anche una principessa siciliana tale Maria Gravina Cruyllas di Ramacca. D’Annunzio solo dopo la morte di colei che aveva ispirato la lirica di Ermione, sembra apprezzarne per intero l’importanza. Le sopravvisse di quattordici anni struggendosi nel suo ricordo. Si racconta che quando gli venne comunicata la notizia della morte della Duse, abbia detto: “E’ morta quella che non meritai”.
Ciascuno, infine, potrà vedere elementi di somiglianza nel carattere di questi personaggi femminili, o meno, potrà scorgere un destino comune o forse no, ma traendo le proprie conclusioni dovrà comunque considerare l’importanza nella vita dei loro uomini, delle donne che rispondono al nome di Ermione, ponendo in capo ad ogni cosa, ciò che afferma la scrittrice di Potter: “Harry ha disperatamente bisogno di lei”, aggiungerei così come tutti quelli che hanno conosciuto l’Ermione della loro vita.