Francesca Sanna. Dirigente delle Poste ora è in pensione. Fin da piccola amava scrivere poesie ma anche disegnare, dipingere e leggere. Nonna e bisnonna si dedica al volontariato, a scrivere poesie e a dipingere. Nelle sue opere cerca di proporre immagini che esprimano al contempo incanto e velate tristezze. Partecipa al Concorso 50&Più per la quinta volta; nel 2016, nel 2017 e nel 2018 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la pittura, nel 2019 la Menzione speciale della giuria per la poesia e nel 2020 ha vinto la Farfalla d’oro per la pittura. Vive a Sassari.
Stiamo vivendo un lungo periodo di pandemia. Ormai è più di un anno che non possiamo comportarci come prima. Noi in Sardegna siamo stati zona gialla, arancione, poi bianca e sembrava quasi un traguardo per ritornare alla normalità, o quasi.
Oggi risiamo in zona rossa, unici in Italia e tutto ci viene vietato.
Ho perso persone a me molto care, amiche e amici che non posso dimenticare, assieme abbiamo trascorso periodi meravigliosi, gite in Sardegna, in Italia e anche all’estero: mai nessuno toglierà dal nostro cuore i momenti belli trascorsi insieme.
La speranza è una sola, che questo virus muoia per sempre.
Una storia fra tante. Nonna Peppa, una donna molto conosciuta sui social, aveva compiuto 98 anni e in una sua foto ha messo in mostra i suoi muscoli. Molti hanno fatto alla nonna tanti auguri, dicendo: ti auguriamo di arrivare a cento e più anni, sei ancora bella e piena di risorse. A fine giornata, il compleanno di nonna Peppa è stato visualizzato da più di centomila persone; Peppa era la nonna di un grande giocatore di pallacanestro, della Dinamo di Sassari. E’ stata una grande festa virtuale, ma per poco, perché nonna Peppa se ne è andata anche lei in silenzio a causa di questo maledetto covid.
Tutto questo dolore mi porta con il pensiero a molti anni indietro, quando si moriva per il tifo. Era una brutta malattia, molto contagiosa. Io ero molto piccola, ricordo che dovevo ritornare a scuola, finivano così le vacanze estive, ma la mattina, quando mi alzai per andare a scuola non stavo bene. La mamma mi toccò la fronte e mi disse: tu hai la febbre alta, oggi non potrai andare a scuola. Mi rimise a letto.
Fu un grande dolore non poter andare a scuola dopo le vacanze, ero in terza elementare.
La mamma chiamò il medico, il quale venne il pomeriggio. Disse di non farmi uscire poiché avevo la febbre alta e aggiunse che sarebbe ripassato l’indomani. La mia mamma era in attesa di un altro figlio, aveva già una grossa pancia e quindi non poteva dedicarsi a me come avrebbe voluto. L’indomani, il medico disse che avevo il tifo, o il paratifo: i familiari non potevano stare nella mia stanza perché era una malattia contagiosa. La mamma si mise a piangere, mentre io tenevo gli occhi chiusi e fingevo di dormire.
Quando la sera arrivò il babbo, chiese subito come stavo. La mamma piangeva e veniva un po’ vicino al letto, accertandosi che dormissi. Poi parlò con mio padre e gli disse che molto probabilmente sarei morta, perché la malattia era molto brutta e ancora non c’era una cura.
Io ascoltavo tutto e, mentre la mamma piangeva, mio padre parlando a voce bassa, per non farsi sentire da me, diceva che non doveva né piangere né stare male perché fra poco sarebbe nato un altro bambino o bambina che avrebbe preso il mio posto. Diceva che doveva in qualche modo accettare la cosa, doveva in qualche modo rassegnarsi.
Era trascorso già più di un mese e la mia situazione non cambiava.
Siccome avrei dovuto fare la cresima nella primavera del prossimo anno, venne a trovarmi la mia zia Nina che doveva farmi da madrina. Mi portò in regalo un bell’anellino e disse che, poiché dormivo e non voleva svegliarmi, mi aveva portato il regalo della cresima, così potevo portarmelo in paradiso con me. Anche la mia maestra venne a trovarmi, portandomi anche lei un pensierino per la cresima, una bella medaglietta d’oro con la madonna: anche lei diceva che avrei dovuto portarla con me in paradiso.
Ed io? Io pregavo molto, mangiavo poco e sentivo tutti coloro che da lontano mi guardavano e pregavano per me. Anche la mamma non faceva altro che piangere, mentre il babbo le stava vicino e la pregava di stare tranquilla. Io sentivo sempre tutto ciò che si dicevano, perché lasciavano la porta della mia cameretta aperta e questa confinava con la loro camera da letto.
Una mattina venne il medico, il quale disse che c’era una medicina che forse mi avrebbe salvata.
Io continuavo a tenere gli occhi chiusi, poi il medico mi venne vicino e mi toccò, dicendomi di bere quella medicina che aveva sciolto nell’acqua. Io pensavo solo ad una cosa: che siccome avevo pregato tanto, il Signore forse mi aveva ascoltata e forse non sarei più morta.
Dal primo giorno della febbre erano trascorsi quasi due mesi.
Prendevo la medicina il mattino e la sera. Pian piano la febbre se ne andò.
Dopo una settimana senza febbre, il medico mi disse che ero guarita e potevo tornare anche a scuola. L’indomani infatti ripresi ad andare a scuola, e le mie compagne di classe e la maestra mi vennero tutte incontro abbracciandomi e stringendomi con tanto affetto.
Qualche giorno dopo era il giorno del mio ottavo compleanno, la mamma aveva dei dolori fortissimi e urlava forte, arrivò l’ostetrica che abitava nello stesso palazzo e mi mandò a chiamare le zie e la nonna. Io sentivo la mamma che urlava e non sapevo cosa fare o dire, perché erano tutte indaffarate, portavano acqua calda, lenzuola, asciugamani, mentre io ero molto spaventata e non sapevo a chi rivolgermi. Dopo un bel po’ sentii il pianto del neonato, corsi vicino alla porta e la nonna mi disse che era nata una sorellina. Io correvo da una parte all’altra e dopo un po’ la vidi, era bellissima. La mamma doveva restare a letto, mentre il Natale si avvicinava ed io dovevo sostituirla in tutti gli acquisti. Noi eravamo già quattro figli per cui si dovevano comprare i regali che Gesù bambino avrebbe dovuto portato la notte di Natale. La mamma mi chiamò vicino al suo letto e mi diede un grosso incarico: avrei dovuto chiedere ai miei due fratellini che regali desiderassero.
Ricordo che non riuscivo neanche a parlare perché essendo ancora piccola non potevo certo immaginare che i doni non li portasse Gesù bambino, così scoprii che i doni venivano acquistati dai genitori o parenti e poi messi sotto l’albero di Natale la notte della vigilia.
Oggi tutto questo lo ricordo come un sogno. Per fortuna tutto si è risolto al meglio.
Questa pandemia, invece, non finisce più, ormai da oltre un anno dobbiamo stare molto attenti, uscire il meno possibile, mettere la mascherina, usare il gel per le mani, non frequentare amici, parenti o conoscenti. Niente cinema, niente cene con amici o parenti, vita sociale o eventi a cui partecipare. Quando eravamo in zona bianca, sicuramente si è esagerato, l’euforia della “liberazione”: feste, cene e pranzi senza nessun controllo. Ora, giustamente stiamo pagando le conseguenze.
Per fortuna noi viviamo in due. Siamo in sintonia e non ci facciamo mancare nulla e, mentre si sente al televisore o si legge sui giornali che molte coppie sono in crisi, noi stiamo passando un periodo molto felice e siano uniti su tutto. Devo dire che stare uniti ci ha reso consapevoli di quanto l’amore aiuti il nostro percorso. La mattina quando ci svegliamo, con un bacio, una carezza, siamo felici e sorridenti e basta questo per andare avanti. Certo, non vediamo l’ora che questa pandemia finisca, noi a Sassari non siamo ancora riusciti ad esempio a festeggiare i nuovi locali dell’associazione; purtroppo siamo ancora in attesa di incontrarci e decidere per il futuro.
Non se ne può più, perché ora siamo in zona rossa. Ma fra qualche giorno dicono che saremo in zona arancione, se Dio vuole. Dobbiamo ancora aspettare un po’.
La cosa più bella sarebbe ritrovarci tutti uniti come prima, e soprattutto stare assieme ai nipoti e, nel mio caso, anche ai pronipoti.
Speriamo che tutto si risolva quanto prima, che il vaccino, che io ho fatto qualche giorno fa e che a quanto pare è la nostra unica salvezza, aiuti tutti a vivere ancora bene e in salute, facendoci riprendere la vita normale. E poi sì, anche le gite, le feste in compagnia, le strette di mano, i baci, gli abbracci che ora ci mancano tanto. Mai avrei pensato che tutte queste cose un tempo normali mi sarebbero venute a mancare così tanto.