Il caso di un noto colosso dell’e-commerce che investe nella sanità digitale riporta sotto i riflettori le criticità del modello sanitario “made in USA”: meglio pubblico o privato?
Il più noto colosso globale dell’e-commerce, Amazon, si espanderà nel settore sanitario creando una vera e propria “clinica” virtuale. Attraverso una funzione di messaggistica e sfruttando le potenzialità della telemedicina, i pazienti di 32 Stati USA potranno entrare in contatto con medici specialisti. Questo per curare patologie comuni, dalle allergie all’acne alla perdita di capelli. I pazienti potranno confrontare diverse offerte di prestazioni mediche, scegliendo quella più conveniente.
Che Amazon investa nella sanità digitale non è una novità. Lo ha già fatto con “Amazon Pharmacy”, il servizio di vendita online di medicine. E acquisendo “One Medical”: una compagnia che gestisce servizi di cure primarie in abbonamento attraverso la telemedicina e una rete di ambulatori e luoghi di cura affiliati. Né tantomeno stiamo parlando di un gesto solidale, ma di un’operazione di puro business. Tanto più se guardiamo al controverso protagonista: l’azienda guidata dal milionario Jeff Bezos che ha annunciato di voler devolvere in beneficenza una vasta parte del suo immenso patrimonio nelle stesse ore in cui sulla stampa trapelava che i vertici del colosso stanno valutando di tagliare 10.000 posti di lavoro.
Piuttosto, le “mosse” del gigante delle vendite online richiamano proprio l’attenzione sul funzionamento della sanità negli USA. Un sistema così distante dal modello di sanità pubblica a cui siamo abituati.
Sanità negli USA: l’assenza di una copertura sanitaria universale
Gli Stati Uniti sono uno dei pochi Paesi dell’Ocse a non avere una copertura sanitaria universale. Un fatto che affonda le radici nell’origine del sistema sanitario nazionale nordamericano, che è di natura privatistica. Quando invece in Europa il welfare e la sanità hanno avuto una forte matrice pubblica, ispirata dal principio che il diritto alla Salute è universale. Cosa implica tutto questo, nella vita di tutti i giorni?
Se in un paese europeo come l’Italia, le cure sono garantite indipendentemente dal ceto sociale e sono una voce importante di spesa pubblica, negli USA l’accesso alle prestazioni sanitarie richiede la stipula di una copertura assicurativa, solitamente attraverso il proprio datore di lavoro. In mancanza di assicurazione, bisogna pagare la cura, il ricovero, la visita specialistica. E le cifre non sono esigue. Per fare un solo esempio, un singolo trasporto in ambulanza può costare tra i 400 e 1200 dollari (più o meno, quindi, fra i 400 e i 1200 euro al cambio dollaro-euro attuale).
Non è dunque un caso il fatto che l’aspettativa di vita nella più grande democrazia del mondo sia inferiore a quella di altri Paesi industrializzati. E che, addirittura, con la pandemia sia peggiorata, a fronte di un’esperienza di mortalità molto più grave di quella riscontrata in altri stati equiparabili agli Stati Uniti. A segnalarlo, alcuni recenti studi scientifici, fra cui un documento del National Center for Health Statistics (NCHS), l’ente americano che si occupa delle statistiche in ambito sanitario. Questi studi hanno anche confermato come, a subire maggiormente l’assenza di una copertura sanitaria universale, sono ovviamente i più vulnerabili a livello sociale ed economico: la comunità nera, quella ispanica e quella dei nativi.
Solo due programmi nazionali di welfare a sostegno delle fasce di popolazione più deboli
Fino alla nota riforma “Obamacare” del 2010, la spesa sanitaria pro-capite statunitense ha fornito una parziale copertura sanitaria solo ai più poveri, ai disabili e agli anziani. Questo attraverso alcuni provvedimenti che risalgono agli anni ’60. Si tratta dei programmi “Medicaid” e “Medicare”, introdotti dall’allora Presidente USA Lyndon Johnson.
Il primo, Medicaid, è destinato a persone e famiglie a basso reddito. Si tratta un programma federale che copre le spese per l’assicurazione sanitaria, ed è gestito dai singoli Stati. Il Medicare è invece destinato agli over 65 e ai disabili e garantisce una copertura sanitaria indipendentemente dal reddito alle fasce di popolazione interessate. Infine, lo “State Children’s Health Insurance Program (SCHIP)” assicura la copertura ai bambini. Questo quando le famiglie guadagnano troppo per rientrare nel Medicaid ma troppo poco per affrontare i costi di un’assicurazione privata.
Questi programmi sono stati gli unici pilastri di universalità nel panorama sanitario statunitense fino alla dibattuta riforma del 2010, che porta il nome del Presidente che l’ha caldeggiata: Barack Obama.
La rivoluzione dell’ “Obamacare”
L’ “Affordable Care Act (ACA)”, noto come “Obamacare”, è dunque la prima grande riforma sanitaria statunitense dopo oltre cinquant’anni di storia. La riforma estende la platea di persone coperte da Medicaid, introducendo sussidi federali per l’acquisto di polizze assicurative e un sistema di imposte sui redditi più alti per coprire i costi. Inoltre, le compagnie di assicurazione non possono più negare la polizza ai malati cronici o a chi ha precarie condizioni di salute preesistenti. Le assicurazioni devono inoltre includere i figli fino a 26 anni nella polizza di assistenza sanitaria dei genitori. E devono coprire almeno il 60% dei costi di servizi e cure sanitarie. Infine, viene introdotto un obbligo di assicurazione per le persone e per le aziende, pena il pagamento di una multa. Si stima che siano oltre 30 milioni in più i cittadini statunitensi tutelati dal nuovo sistema sanitario.
Una riforma contrastata
L’amministrazione guidata da Donald Trump ha provato ad abrogare la riforma sanitaria di Obama, ma è stata bloccata dal Senato USA. Ci sono inoltre stati diversi tentativi di smantellare la riforma da parte dei repubblicani ricorrendo alle corti federali. L’ala repubblicana della politica USA si appella all’aumento della spesa pubblica; ma anche le compagnie assicurative si oppongono perché, con questa riforma, vedono ridursi i propri profitti. A dicembre 2018 la Corte del Texas, in particolare, ha dichiarato incostituzionale l’obbligo individuale all’acquisto della polizza assicurativa.
A salvare il provvedimento, la Corte Suprema degli Stati Uniti, che rappresenta la più alta corte della magistratura federale USA, con un’ampia giurisdizione di appello di ultima istanza su tutti i casi di tribunali federali e tribunali degli Stati federati. La Corte Suprema si è infatti sempre pronunciata a favore dell’Obamacare. Così come l’attuale amministrazione guidata dal democratico Joe Biden. Ad inizio 2021 ha infatti riaperto le iscrizioni alle polizze garantite dallo Stato che erano state comunque interrotte. Iscrizioni che si stima continueranno a crescere nel 2023, come avvenuto quest’anno. Così come prosegue il dibattito sul rapporto benefici-costi della riforma per la collettività, e continua ad essere acceso. Complici l’aumento dell’inflazione e le elezioni di metà mandato che si sono tenute a novembre, con il testa a testa fra democratici e repubblicani, i primi vittoriosi al Senato, i secondi alla riconquista della Camera.
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