Le ‘pagelle’ del Ministero sulla sanità italiana sui dati LEA 2023 evidenziano un sistema ospedaliero in miglioramento ma puntano il dito sull’assistenza territoriale. Il nodo della riforma dei medici di famiglia e delle Case di comunità
Il recente rapporto del Ministero della Salute sui Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) offre un quadro contrastante della sanità italiana. Se da un lato si evidenziano progressi nelle cure ospedaliere, con interventi più tempestivi ed efficaci, dall’altro emergono criticità significative nella gestione della sanità territoriale. Quest’ultima, infatti, mostra difficoltà nel garantire servizi essenziali come vaccinazioni, screening oncologici e assistenza domiciliare, soprattutto nelle aree remote e per i pazienti non autosufficienti. Il divario tra regioni si fa evidente, con alcune che eccellono e altre che faticano a fornire servizi adeguati ai cittadini.
Divario Nord-Sud, uno dei mali della sanità italiana
Gli ospedali, che pesano per il 50% nella valutazione, mostrano un trend positivo, con interventi tempestivi e appropriati. Tuttavia, aree cruciali come vaccinazioni, screening oncologici, assistenza domiciliare e tempi di attesa per le ambulanze registrano peggioramenti. Il divario Nord-Sud è evidente. Veneto, Toscana, Trento ed Emilia-Romagna si distinguono per l’eccellenza, mentre Calabria, Valle d’Aosta, Sicilia e Abruzzo sono in coda. Il monitoraggio del sistema sanitario italiano rivela però una forte preoccupazione. Nonostante i progressi nelle cure ospedaliere, l’assistenza territoriale, cruciale per i cittadini, rimane fragile e carente di risposte rapide ed efficienti.
PNRR e sanità territoriale: un obiettivo lontano dal raggiungimento
Nonostante gli sforzi e gli investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), la fragilità della sanità italiana territoriale, emersa durante la pandemia, persiste in molte regioni. Gli ultimi dati del 2023 sui LEA non hanno mostrato i miglioramenti attesi dall’implementazione del decreto 77 del 2022, che mirava a riorganizzare le cure primarie attraverso case e ospedali di comunità, centrali operative territoriali, telemedicina e assistenza domiciliare integrata. Di conseguenza, l’obiettivo di rafforzare la sanità territoriale, previsto dal PNRR, appare lontano dal raggiungimento entro la scadenza di giugno 2026.
Il futuro dei medici di famiglia, tra riforma e resistenze
Nella sanità italiana, la riforma dei medici di famiglia è un punto nevralgico per il rilancio dell’assistenza territoriale. Il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, mira a superare le criticità dell’assistenza primaria attraverso una revisione dello status giuridico dei medici di famiglia, proponendo il passaggio dal regime di convenzione alla dipendenza. Tuttavia, questa proposta incontra una forte resistenza da parte dei sindacati. La riforma dei medici di famiglia, nelle intenzioni del governo, si articola in una duplice strategia. Da un lato, prevede l’assunzione obbligatoria come dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale per i nuovi medici di famiglia. Dall’altro, offre ai medici già in servizio la possibilità di scegliere tra il mantenimento dello status di liberi professionisti convenzionati o il passaggio alla dipendenza.
Case di comunità: la riforma cruciale per la sanità italiana
Un aspetto fondamentale della riforma, condiviso dalle Regioni, è l’obbligo per i medici di famiglia di dedicare un monte ore settimanali alle Case di comunità, strutture finanziate dal PNRR. L’obiettivo è di attivare oltre 1400 Case di comunità entro giugno 2026, ma la carenza di personale sanitario, in particolare medici e infermieri, ne ostacola il pieno funzionamento. La riforma dei medici di famiglia è quindi essenziale per garantire l’operatività delle Case di comunità e superare le criticità della sanità territoriale, scongiurando il rischio di creare strutture vuote e inefficaci.
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