Grazie anche alla spinta economica del PNRR, come conseguenza del Covid, è in atto un forte cambiamento per il nostro sistema sanitario; a partire da nuove strutture, come le Case e gli Ospedali di Comunità, e le Centrali Operative Territoriali.
Molto è destinato a cambiare. Se in meglio, lo si suppone ma sarà comunque tutto da vedere. Il restyling della sanità italiana passa attraverso il PNRR e punta a riformare il tema della salute in termini di prossimità. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha infatti l’obiettivo di garantire al nostro Paese nuove strutture che impareremo a conoscere come Case di Comunità, Ospedali di Comunità e Centrali Operative Territoriali. Se le prime saranno 1.430, i secondi saranno 435, mentre le terze arriveranno a quota 611. Un cambio di passo poderoso per cui verranno messi in campo 15 miliardi di investimenti da qui al 2026, che mirano a ridefinire l’ossatura del sistema di cura in Italia.
Prossimità, dicevamo, come chiave di volta per dare risposte in un contesto come quello della salute che, durante la pandemia, ha sicuramente subìto un grosso contraccolpo ma ha anche capito quanto “vicino” possa essere meglio. E il piano d’azione – stando almeno alle disposizioni in materia – è serratissimo, al punto che entro i primi tre mesi del prossimo anno dovranno partire le gare d’appalto per la costruzione dei plessi in questione per far sì che le prime aperture coincidano col 2024, mentre nel 2026 le tre grandi novità dovranno essere operative e, dunque, completamente realizzate.
Di certo, la lunga emergenza Covid ha mostrato tutte le criticità del sistema salute, come l’integrazione spesso carente tra servizi ospedalieri, sociali e territoriali, con tempi di attesa (eccetto che per i vaccini) fin troppo elevati. Come se non bastasse, la disparità di tutele e servizi tra regione e regione non ha fatto che mostrarsi ancora un volta e in modo molto chiaro. A tale scopo, può valere la pena ricordare che, per via dell’autonomia della quale godono, Regioni e Province autonome hanno agito negli anni in maniera diversa in tema sanitario: talune hanno puntato il tutto per tutto sugli ospedali pubblici; altre hanno invece preferito giocare la carta degli ospedali privati, però “convenzionati” con l’ente regionale. Una gestione che ha provocato un passo profondamente differente sui temi sanitari nelle diverse aree del nostro Paese.
Un “work in progress” – quello dettato perciò dal PNRR – che sarà dunque l’ossatura del nuovo impianto sanitario con le Case di Comunità, gli ospedali di Comunità e le Centrali Operative Territoriali, che avranno ciascuno il proprio compito specifico. Ma vediamo nel dettaglio. Le Case di Comunità saranno delle sedi dove gli abitanti di ogni singolo territorio potranno entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale. Gli Ospedali di Comunità saranno invece strutture che garantiranno un ricovero territoriale, svolgendo una funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero. Saranno rivolte a pazienti che, a seguito di un episodio di acuzie minore o per la riacutizzazione di patologie croniche, necessitano di interventi sanitari ma di bassa intensità clinica – potenzialmente erogabili a domicilio – e che mostrino necessità di assistenza e sorveglianza sanitaria e infermieristica continuativa, anche notturna. Altro discorso per le Centrali Operative Territoriali (i cosiddetti COT), che avranno funzione di coordinamento della presa in carico della persona fungendo da raccordo tra servizi e professionisti con lo scopo di assicurare continuità, accessibilità ed integrazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria.
Detta in modo ancora più chiaro, Case e Ospedali di Comunità funzioneranno così: nelle prime potrà recarsi chi ha bisogno di una visita medica o comunque necessiti di semplici diagnosi di base (esami ecografici, elettrocardiografici, retinografici, spirometrici). Inoltre, nelle Case di Comunità – operative h24 – sarà possibile avere la consulenza di personale medico per prelievi e vaccinazioni. Fondamentale – qualora le condizioni di salute lo consentano – il ricorso del paziente anche alla telemedicina che ha sì acquisito tanto più rilevanza durante la pandemia ma che, negli obiettivi, sarà potenziata.
All’Ospedale di Comunità si potrà ricorrere, invece, quando un paziente – non avendo bisogno del ricovero in ospedale – potrà essere gestito al di fuori di un nosocomio, in caso con brevi ricoveri, e con particolare attenzione a malati cronici e persone anziane.
In buona sostanza, tutte le nuove strutture avranno un collegamento diretto col cittadino ma l’accesso alle Centrali Operative Territoriali è precluso ai pazienti dal momento che, piuttosto, avranno il compito di coadiuvare e fungere da catalizzatore e regia per le cure fornite al di fuori dell’ospedale. Il che, vale dire, che lo scopo del nuovo sistema nascente sarà quello di dare risposte più pronte, efficaci e limitrofe ai territori.
Ci si riuscirà? È presto per dirlo. Sicuramente l’intento sarà quello di provare a dare spazio, connessione e valore a realtà e figure già presenti sul territorio con l’obiettivo di aggiungerne delle altre, sempre più in rete e sempre più numerose: dalle aziende sanitarie locali alle amministrazioni locali passando per pazienti, professionisti ma anche i preziosi caregiver nonché le organizzazioni del Terzo Settore.
Rispondere alle disparità territoriali resta, dunque, una delle chiavi di quello che vuole essere un cambio di passo radicale nella cura della salute nel nostro Paese, ma anche la traiettoria ritenuta più idonea per andare incontro alle necessità legate alle patologie più diffuse. Secondo le rilevazioni degli ultimi anni, cresce la diffusione delle cosiddette malattie croniche: quelle, ossia, che non richiedono necessariamente un ricovero. Parliamo di insufficienza renale, artrite, Alzheimer, glaucoma, ipertensione arteriosa, patologie di cui ci si può occupare efficacemente attraverso strutture – appunto non ospedali – in grado di assicurare comunque al paziente le cure necessarie. Agli anziani – figure particolarmente delicate, in caso di comorbidità, e che faticano magari a spostarsi: anche a loro guarda il riassetto del sistema salute che il PNRR vuole appunto incentivare.
L’intento del riassetto della Sanità sarà quello di provare a dare spazio, connessione e valore a realtà e figure già presenti sul territorio con l’obiettivo di aggiungerne delle altre, sempre più in rete e sempre più numerose: dalle aziende sanitarie locali alle amministrazioni locali passando per i pazienti, i professionisti ma anche i preziosi caregiver nonché le organizzazioni del Terzo Settore.
Ma all’elenco delle intenzioni in un programma sicuramente robusto economicamente e concreto si aggiungono, però, le preoccupazioni che spaziano dall’organizzazione agli stessi fondi, che pure appaiono al momento consistenti. Le maggiori perplessità di specialisti e addetti ai lavori riguardano le difficoltà nel rispetto dei tempi programmati per la realizzazione delle strutture della salute come anche che si possa realmente giungere ad una omogeneità nella diffusione dei servizi a livello regionale.
Una volta esauriti i fondi utili alla “messa a terra” delle nuove unità sanitarie, ci saranno risorse sufficienti a farle funzionare? Questo è solo uno degli interrogativi perché c’è anche chi si domanda come – e dunque con quali risorse – si procederà all’assunzione di nuovo personale utile a potenziare l’assistenza territoriale nonché le centrali operative sul territorio incaricate di occuparsi dell’assistenza domiciliare. E parliamo di ulteriori infermieri, medici di medicina generale, personale amministrativo spesso in forte carenza negli organici delle realtà già oggi esistenti.
Nel complesso, siamo di fronte a un disegno di riforma del sistema sanitario che – secondo il Consiglio di Stato – delinea “un innovativo modello organizzativo dell’assistenza sanitaria territoriale, condivisibilmente imperniato su un archetipo antropocentrico, che prevede la rimodulazione dei servizi e delle prestazioni offerte affinché siano il più possibile prossimi all’utente raggiungendolo fino al suo domicilio”. Una ristrutturazione funzionale a “fornire risposte operativamente efficaci alla necessità, sempre più avvertita, di costruire una rete assistenziale territoriale che sia alternativa all’ospedale e che sia accessibile a tutti, contrastando le disparità di salute” determinate dai livelli di reddito ovvero dall’area geografica di appartenenza e promuovendo un sistema sanitario sostenibile in grado di erogare cure di qualità”. Le premesse ci sono, dunque: per i risultati non possiamo che aspettare.
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