Luciana Salvucci.
Già dirigente scolastica e docente di scienze umane e sociali nei licei è stata docente a contratto di: Didattica Interdisciplinare e Multidisciplinare, Didattica della Psicologia e delle Scienze della Formazione presso l’Università di Macerata. Ha scritto, inoltre, diversi testi di saggistica, poesia e teatro e molti suoi testi sono stati pubblicati su riviste, antologie e cataloghi. Ha partecipato a diversi Concorsi letterari nazionali e internazionali ottenendo lusinghieri riconoscimenti. Al Concorso 50&Più partecipa per la prima volta. Vive a Macerata.
Ai Giovani che lottano contro chi deturpa la Madre Terra
Sopra la terra stuprata un bagliore sinistro.
Ricchi disonesti, di soppiatto, inoculano gocce di veleno nelle vene dell’universo. Soffi contaminati tolgono vigore al respiro delle piante, al volo degli uccelli, al sorriso dei giovani. Danni irreversibili per la salute degli esseri viventi:
– donne che aspettano un bambino,
– ragazzi che giocano nelle piazze,
– animali che crescono,
– piante che cercano l’ossigeno.
Creature bambine ingrigiscono precocemente. Da una barricata si sentono giovani che combattono, cantando. Sogni di prati verdi e di acque limpide sono ancora possibili.
Alcuni governanti ascoltano annoiati i discorsi dei giovani e ai loro cortei fanno intervenire le forze dell’ordine.
– Ai numerosi appelli che i giovani fanno pervenire, sorbiscono un caffè.
Al Clochard, amato dalle stelle.
Invocava aiuto, mentre lo malmenavano brutalmente. Un bambino ha testimoniato che lo ha visto, dalla finestra della sua cameretta, mentre gli tiravano pietre. Si dimenava e gridava. Le furie continuavano a inveire contro di lui.
Il senzatetto urlava tra la neve e il gelo per allontanare gli assassini, per chiedere aiuto ai passanti. Urlava per non morire. Nessuno si è fermato per soccorrerlo. Si specchiavano nel ghiaccio dell’indifferenza. I giovani balordi, ridendo, hanno acceso il fuoco.
Le loro risa hanno accompagnato le fiamme, fino a quando il cartone, le coperte lacere e tutti i poveri stracci che riparavano l’uomo dal freddo, sono divenuti cenere. Insieme al suo corpo, nella panchina del dolore.
Catafascio!
Solo le stelle hanno pianto per lui.
– Il barbone, sollevandosi, le ha raggiunte.
Non una di meno
In una caseggiato popolare a più piani, un giovane uomo si infila furtivamente nel massiccio portone d’ingresso, lasciato socchiuso dall’ultimo inquilino entrato. Sale di corsa le scale, scardina i battenti del portoncino dell’appartamento in cui abita quella che lui, impropriamente, considera la sua donna.
Ecco la furia colta nell’attimo di colpire la gioia che l’amore può dare.
– Basta, lasciami andare! Ricordi il nostro amore?
– Appunto. Shhh, stai zitta e non muoverti!
– Non ti ho tradito. Oh, maledetto!
– Confessa che sei stata sua. Devi confessare, via, via …
– Non posso dire ciò che non è mai stato.
L’uomo le corre dietro intorno al tavolo della cucina, agitando un grande coltello da caccia, poi la raggiunge e fa rimbalzare la lama sulla carne tenera della giovane donna. L’ambra candida si appanna, si squarcia, si rattrappisce.
– Per pietà, basta. Non uccidermi.
– Ormai …
Mentre lei pronuncia le ultime invocazioni, con la voce sempre più flebile, i passi indifferenti dell’uomo, sporchi di sangue, si allontanavano furtivamente sull’acciottolato.
– Via, Via…
La vicina, che abita nell’appartamento accanto, ansante e preoccupata alle grida e al grande trambusto, si dirige di corsa nell’appartamento della giovane, dicendo tra se e sé: “Troppo geloso quell’uomo. Lo dicevo io che un giorno o l’altro qualcosa di brutto sarebbe capitato”.
Trova il portoncino spalancato, entra in fretta e vede la giovane riversa sul pavimento, tra un lago di sangue. La scena è spaventosa.
– Signore Iddio, cosa è successo? Terribile!
– Il cero, consumato, si espande nel pavimento.
Ai Bambini di Siria
In una tarda mattinata soleggiata, una mamma e un bambino discutono seduti intorno ad un tavolo ovale, modestamente apparecchiato. Dal soffitto pende una lanterna nera. Un libro un po’ sgualcito è aperto davanti al bambino. La porta dà sulla strada principale dove alcuni uomini discutono animatamente. Una finestra guarda sulla piazza del piccolo paese dove dei soldati armati fino ai denti controllano la situazione. Una bomba esplode vicino ad un corteo.
Lontano si ascolta il rumore di piedi in marcia, poi una scarica di kalashnikov.
Il bambino trasalisce, si avvicina alla porta e guarda diritto davanti a sé, irrigidisce il capo per ascoltare meglio, pensa a suo padre. Il viso si imbianca.
– Mamma che possiamo fare per aiutarlo?
– La guerra ci travolgerà tutti, diventerà come un fiume in piena. La morte sarà l’unico destino per chi è rimasto in questo paese.
Il fragore di una bomba copre il suono dell’invocazione della madre:
– Che Dio lo aiuti.
Poggia sulle spalle uno scialle nero e, concitata, comincia a correre lungo i viottoli, in direzione degli spari. Alcuni passano di corsa, trasportando delle barelle. Le bombe hanno scavato la piazza. Una donna, correndo lungo la via dice:
– Sapete se vi è un Dio nascosto in questa città?
Liberate i poveri figli della guerra dalla loro sofferenza, concedetegli giorni di amore.
– Giorni felici in prossimità del raggio di sole della pace.
Alla giovane Cora Maria Pioli, desaparecida
La ragazza bendata si avvia barcollando verso l’ingresso dell’edificio. I passi delle guardie rimbombano sull’asfalto con fare minaccioso, come se fossero mossi da una forza superiore. L’alito del vento sembra evocare una sinistra, invisibile violenza.
Gli abitanti della zona dicono che negli ultimi mesi vi è uno strano viavai di uomini che accompagnano giovani.
È vero?
Singolari accadimenti!
Girano strane notizie, ma nessuno si cura di verificarle.
La giovane prostrata e i militari baldanzosi entrano dentro il cancello, che si richiude alle loro spalle.
– Si è fatto buio.
A Marina, così bella, che non voleva vivere
La voce della solitudine assorda. Affievolisce il giubilo degli usignoli, che amoreggiano nel cielo azzurro. Il silenzio non ha suono. Fa tacere le grida dei rondinini, che nel nido saldato alla grondaia, fanno festa alla mamma che arriva con il cibo nel becco.
La voce non ha suono. Attutisce lo squillo del telefono. L’amico chiama. Invano.
– Non ascolti la voce che ti cerca.
A un passo dal bordo del silenzio. La voce non trova orecchi. La voce del silenzio acceca. Non ha occhi. Non vede la voragine, né l’acqua. Il suo pericolo. Si lascia scivolare dentro. Si ode un tonfo.
Poi ancora silenzio.
– Oh, davvero? Lei?
– Dev’essersi sbagliato.
– È quanto è accaduto, non c’è da dubitarne.
– È scritto nella memoria grande di Dio; è intagliato in una possente pietra.
In lontananza il rumore di calcinacci. Poi il silenzio, per pochi attimi.
La vita continua.
Le lucciole dorate di notte si accendono e cominciano a danzare nel prato.
– Intorno alla piscina.
A Giulio Regeni
Il sacrificio dell’Agnello si è compiuto, mentre i colpevoli scappano, impuniti, confondendosi con le tenebre.
– Ecco lui è il simbolo!
Issate la sua immagine contro gli oppressori. Giulio ha dato la vita per la libertà di opinione, di pensiero, di parola, ha onorato i principi della democrazia. Altri giovani sono stati torturati perché difendevano libertà civili o religiose, perché non subivano angherie, non si piegavano al potere indegno, non imploravano i tiranni.
– Sissignore, sono stati uccisi perché sfidavano la violenza dei potenti, perché chiedevano giustizia anche per i deboli.
La battaglia dei giusti oggi, sarà la nostra libertà domani.
Alcuni sono morti nel buio della sopraffazione, mentre i codardi e i prepotenti continuano a strisciare, a prostituirsi, a gonfiare i loro ventri famelici, ad ingrassare la polvere.
– I giusti muoiono per liberare noi.