Il report di Adoc ed Eures sullo stato di salute della sanità pubblica in Italia evidenzia il progressivo disimpegno dello Stato italiano sul fronte sanitario. Gli infermieri nel SSN sono il 25% in meno rispetto alla media Ue.
L’Italia spende poco, sempre meno, per la sanità pubblica. Addirittura, in UE siamo quelli che investono di meno in questo settore. Il rischio è che la salute non sia più un diritto per tutti, ma un “lusso” per pochi. È quanto emerge dal rapporto “Sanità pubblica e tutela della salute”, recentemente pubblicato da Adoc ed Eures. La spesa sanitaria in Italia è calata del 3,7% tra il 2021 e il 2022 e dello 0,8% rispetto al valore del 2020 (anno base 2015).
Il futuro non fa bene sperare. Secondo le previsioni di spesa riportate nel Def, nel 2027 questa spesa toccherà il minimo storico degli ultimi 15 anni: il 6,2%. Scoraggiante il confronto con l’Europa. In Italia la spesa sanitaria pro capite è di 2.180 euro, mentre in Germania e Francia raggiunge, rispettivamente, i 4.641 ed i 3.766 euro. Meno dell’Italia, spendono soltanto la Grecia (1.196 euro), la Polonia (1.491 euro) e il Portogallo (1.768).
Gli anziani spendono di più
Parallelamente, cresce la spesa sanitaria privata in Italia. Tra il 2012 e il 2022, infatti, la cosiddetta spesa “out of pocket” delle famiglie italiane è passata da 31,5 a 36,8 miliardi di euro (+16,9%), pari ad una spesa media mensile di 113,5 euro. Questo va a scapito soprattutto di anziani e fragili. Infatti, mentre in media l’incidenza della spesa sanitaria delle famiglie su quella totale è pari al 4,3%, arriva al 5,5% tra gli anziani soli e al 6% tra le coppie anziane.
Oltre alle risorse finanziarie, sono insufficienti anche le risorse umane. Il personale medico del SSN ammonta nel 2022 a 101.827 unità: è lo 0,6% in meno rispetto al 2021 e il 2,7% in meno rispetto al 2012 (-7,5% al Sud). Negli ultimi 20 anni, è diminuito del 4,4%. E il personale è per lo più over 50: nel 2022, il 54,1% dei medici ha 55 o più anni (fonte Eurostat, riferita anche al settore privato), a fronte del 44,5% in Francia, del 44,1% in Germania e di appena il 32,7% in Spagna.
Troppo pochi anche gli infermieri, nella sanità pubblica: 268.013 quelli censiti in Italia dal Ministero della Salute. Sono 6,2 per 1.000 abitanti: un valore inferiore addirittura del 25% rispetto alla media Ue, dove gli infermieri sono 8,5 per mille abitanti. Ciò significa che per adeguare la “dotazione” italiana a quella dell’Unione Europea, sarebbero necessari altri 100 mila infermieri (+99.400). Difficilmente reperibili peraltro vista la prospettiva del tutto insufficiente di laureati in queste discipline.
4,5 milioni di italiani rinunciano alle cure
Il rapporto riprende anche i dati Istat relativi ai cittadini che rinunciano alle cure: nel 2023 il 7,6% dei cittadini italiani, ovvero 4,5 milioni in valori assoluti. Si tratta di un risultato in crescita dello 0,6% rispetto al 2022, sebbene ancora distante dai valori osservati nel 2020 e nel 2021 (rispettivamente, 9,6% e 11%), tuttavia fortemente condizionati dalla pandemia. Rinunciano alle cure soprattutto persone in età matura. Nella fascia 45-64 anni, infatti, il tasso di rinuncia alle cure raggiunge il 10,3%, per attestarsi sui valori più bassi tra i giovani (2,6% tra gli under 25).
“Tutti i cittadini hanno un eguale diritto alla salute, ma nel nostro Paese non è più così: solo chi ha soldi si cura e ciò determina disuguaglianze economiche e sociali insanabili – commenta Anna Rea, presidente di Adoc – Per questo, abbiamo deciso di lanciare la campagna di sensibilizzazione ‘No alla povertà sanitaria. La salute non è un privilegio ma un bisogno primario’. Non sono più rinviabili investimenti nel comparto a partire dall’assunzione del personale, a condizioni lavorative dignitose e con garanzie retributive adeguate”. Per Adoc, occorre poi potenziare la medicina territoriale: “Servono ospedali e case di comunità, luoghi fisici ai quali i cittadini possono accedere per bisogni di assistenza sanitaria e socio-sanitaria e non intasare pronto soccorso e ospedali, progetti questi previsti e in molti casi rimasti sulla carta”. Infine, occorre rimettere al centro il tema della prevenzione attraverso la formazione. Un investimento necessario per ridurre le spese sanitarie di domani e per un sistema sanitario più sostenibile”
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