Secondo l’ultimo rapporto Siep sulla salute mentale, in Italia si continua a spendere poco: solo il 2,9% dei fondi sanitari vengono impiegati per il settore, contro la soglia minima del 5% che consentirebbe di ottenere gli standard minimi.
In Italia il personale dedicato alla salute mentale è di circa 11mila operatori, ma ne servirebbe almeno un 25% in più. Inoltre, non esiste un sistema strutturato di cura perché a causa dell’autonomia differenziata, esiste un regionalismo fatto di modelli di assistenza molto diversi tra loro, alcuni basati sugli ospedali, altri sulla capillarità del territorio. In generale, però, gli italiani raggiunti dalle cure psichiatriche rappresentano solo l’1,5%, circa 770mila pazienti, anche se dalle stime la domanda è di circa dieci volte maggiore. Il quadro, molto precario, è quello descritto dal Rapporto Siep sulla salute mentale.
Promesse non mantenute
Nel 2002 i presidenti delle Regioni avevano deciso di impegnarsi per destinare almeno il 5% dei fondi sanitari alla salute mentale, una percentuale che rappresenta lo standard minimo anche a livello internazionale. Da allora questa soglia non è mai stata raggiunta, ma ha toccato appena il 2,9% nel 2022.
La salute mentale negli altri paesi europei
Spendiamo poco anche in raffronto ad altri paesi europei: la nostra spesa pro capite è di 69,8 euro, contro i 510 della Francia, i 499 della Germania e i 344 del Regno Unito.
Rapporto Siep sulla salute mentale: la classifica italiana
Secondo la Siep (Società di epidemiologia psichiatrica) è proprio il regionalismo degli ultimi anni ad aver fatto i danni più grandi nel settore della salute mentale ed è difficile pensare ad una ulteriore spinta federalista se non si colmano i divari attuali.
Siep ha cercato di stilare una classifica tra le regioni sulla base di 14 indicatori fra i quali i posti letto, i fondi stanziati, la durata dei trattamenti residenziali, il personale addetto. Ne è emerso che il Centro Nord raggiunge gli standard migliori, in particolare a Bolzano, Trento, in Friuli, Emilia-Romagna e Valle d’Aosta. Il sud invece mostra risultati peggiori, con picchi in negativo per Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.
Uno dei problemi più comuni è quello del sovraffollamento nei reparti di psichiatria, che rendono l’Italia uno dei paesi meno attenti alle cure psichiatriche nel mondo. L’impiego intensivo del polo ospedaliero manifesta anche una scarsa presenza di forme di cura alternative sul territorio, come la residenzialità sanitaria e socio-sanitaria. L’altra criticità riguarda la dotazione complessiva del personale, che si attesta per tutte le figure a 60,4 operatori ogni 100 mila abitanti, a fronte degli 83 necessari a garantire tutte le attività territoriali, comprese quelle per i disturbi dell’alimentazione e quelle nelle carceri.
La continuità assistenziale
La continuità dell’assistenza fra ospedale e territorio, indicata nel numero di visite psichiatriche ricevute dai pazienti entro 14 giorni da una dimissione ospedaliera, è altrettanto insoddisfacente e riguarda solo il 25% delle persone che sono state in cura in un reparto di psichiatria. Al contrario, la durata media di permanenza nelle strutture residenziali è superiore alle indicazioni medie, e questo fenomeno limita la possibilità della persona di tornare a una vita indipendente.
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