Secondo il Rapporto civico sulla salute di Cittadinanzattiva, la pandemia ha dato il “colpo di grazia” ad un sistema sanitario già compromesso da pochi servizi, forti disuguaglianze territoriali, scarso rispetto dei diritti del paziente, un approccio medico che dimentica la sfera emotiva e sociale, radicati pregiudizi.
In Italia per la salute mentale di 100mila persone il Servizio Sanitario Nazionale mette a disposizione solo poco più di 3 psicologi, 9 medici e 7 strutture territoriali. Curarsi costa in media meno di 36 euro in Friuli Venezia Giulia, più di 715 euro in Sardegna. Pochi servizi pubblici, forti disuguaglianze territoriali, scarso rispetto dei diritti del paziente e un approccio medico che dimentica la sfera emotiva e sociale. Ma anche tanti pregiudizi, superficialità e luoghi comuni sulla cura del malessere.
È questo il quadro sconfortante descritto nel “Rapporto civico sulla salute – Diritti dei cittadini e federalismo in sanità” di Cittadinanzattiva. L’associazione ha integrato per la prima volta dati statistici e informazioni istituzionali con le segnalazioni spontanee dei cittadini ai propri sportelli territoriali (“Rapporto PiT Salute”) per individuare punti di forza e di debolezza del Sistema Sanitario Nazionale. Purtroppo, il diritto alla salute mentale è fra quest’ultimi.
Un’emergenza già prima dell’emergenza
“La salute mentale – sottolinea l’indagine – rappresentava un’emergenza già ben prima della pandemia da Covid”. Questo per la disparità di accesso ai servizi, soprattutto nelle aree interne del Paese; lo scarso rispetto dei diritti umani; il disinvestimento economico. Ancora, per la disgregazione e contrapposizione fra interventi medico-sanitari e interventi psico-sociali; la preponderanza della medicina ospedaliera; lo stigma sociale.
Il Covid non ha fatto altro che “dare il colpo di grazia” al sistema, provocando l’aumento di disturbi come la depressione, l’ansia, problemi del comportamento alimentare, le dipendenze da droghe e alcool. L’Istituto Superiore della Sanità, mediante il sistema di sorveglianza PASSI, ha rilevato un “severo peggioramento” del rischio di depressione in particolare nei giovani fra 18 e 34 anni, nelle donne o in chi ha difficoltà economiche.
Peraltro, il problema non è solo italiano: ad ottobre 2020 gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno giudicato “devastante” l’impatto della pandemia sui servizi di salute mentale di130 Paesi. Nel 93% dei casi i pazienti con disturbi mentali sono stati abbandonati a loro stessi a causa della chiusura o della drastica riduzione dei servizi. Tanto che la stessa OMS e l’OCSE hanno riconosciuto l’urgenza di invertire la rotta.
I servizi pubblici per la salute mentale in Italia? Sporadici e diseguali
Il report di Cittadinanzattiva ha contato 126 Dipartimenti per la salute mentale (DSM) in Italia e 1.299 strutture territoriali. La loro distribuzione geografica è motivo di forti disparità. Se infatti in Lombardia si contano 27 Dipartimenti e 151 strutture territoriali, in Molise ci sono soltanto 1 Dipartimento e 3 strutture territoriali. Considerando i servizi in rapporto alla popolazione, è la Toscana a salire sul gradino più alto, con 7,5 strutture ogni 100mila abitanti, seguita da Valle d’Aosta (5,7) e Veneto (4,4). Ma 15 regioni su 20 presentano valori inferiori alla media nazionale (pari a 2,6).
I numeri degli operatori dei servizi per la salute mentale non migliorano il quadro. Anzi. In media, le regioni italiane hanno 9 medici specializzati ogni 100mila abitanti. La Liguria, con 13,8 medici, presenta il miglior rapporto, seguita da Toscana e Provincia autonoma di Trento (12,8 ciascuno). In 13 regioni non si raggiunge neppure la media nazionale, con il Veneto fanalino di coda (5,9). Gli psicologi sono ancor più rari: appena 3,3 per 100mila potenziali pazienti. La Valle d’Aosta, che ne prevede 16, è in vetta alla classifica seguita da Trento (10,6). In Basilicata non c’è neppure uno psicologo a disposizione (il rapporto è 0,9); il Piemonte ne garantisce 1,3.
Gli infermieri sono in media 21,6 ogni 100mila abitanti. É la Provincia autonoma di Bolzano ad avere la migliore situazione (34,7 infermieri per 100mila abitanti) seguita da Liguria (34,5) e Friuli-Venezia Giulia (34,3). In fondo alla classifica Abruzzo (13,1), Calabria (13) e ancora la Basilicata (11,9).
Quanto costa curare la salute mentale? Dipende da dove si vive
Per Cittadinanzattiva le disparità sono “abissali” quando si guarda al costo delle prestazioni erogate. Nel 2020 sono state oltre 8 milioni per più di 700mila pazienti, la metà dei quali (51%) vive in famiglia o con altri familiari. Dunque, una media di 12 prestazioni a paziente, con picchi in Friuli-Venezia Giulia (41,2), seguita da Toscana (22,3) ed Emilia-Romagna (20). Proprio l’Emilia-Romagna registra in assoluto il numero più alto di prestazioni erogate nell’anno: sono 1.402.347. Ma se in Basilicata assistere un paziente con disturbi mentali costa 469 euro, in Sardegna ben 7.726 euro. Il costo medio per prestazione oscilla dai 35,89 euro del Friuli-Venezia Giulia ai 715,89 della Sardegna.
Un cittadino su 8 segnala gravi difficoltà nelle cure
Il 12,8% delle segnalazioni relative all’assistenza territoriale raccolte dagli sportelli di Cittadinanzattiva riguardano la tutela della salute mentale. Prima della pandemia, erano l’11,8%. Fra le più gravi difficoltà incontrate da pazienti e famiglie c’è vera e propria disperazione per la gestione di una situazione ormai diventata insostenibile a livello familiare (28% dei casi). Segue la scarsa qualità dell’assistenza fornita dal Dipartimento di Salute Mentale (24%): non solo per mancanza di personale, risorse, e formazione, ma anche per le ore di assistenza, numero e frequenza degli incontri; l’impostazione di cura (quasi sempre affidata alla sola indicazione farmacologica); la scarsa possibilità di confronto con i medici e, quando intervengono problemi di relazione con questi, di libera scelta del medico stesso all’interno del medesimo centro o del distretto sanitario.
I cittadini segnalano, fra le problematiche maggiori, anche la difficoltà di accesso alle cure pubbliche (20%); la gestione degli effetti collaterali delle cure farmacologiche (12%); lo strazio legato alle procedure di attivazione del trattamento sanitario obbligatorio (8%). Ancora, i cittadini lamentano la mancanza sul territorio di operatori specializzati; la lungaggine delle liste d’attesa sia per le visite che per l’ingresso nelle poche strutture specialistiche dedicate; le competenze infermieristiche non sempre adeguate all’appropriatezza delle terapie prescritte.
Il deficit strutturale dei servizi per la salute mentale scarica il peso della gestione – se non proprio della cura – del paziente psichiatrico interamente sulla famiglia: “la gravità e spesso l’insostenibilità di tali situazioni provocano risvolti negativi dal punto di vista economico, sociale e lavorativo – sottolinea il Rapporto di Cittadinanzattiva -, e si riflette in maniera disastrosa sugli equilibri famigliari, già pesantemente compromessi dalla condizione di salute del familiare e da due anni di pandemia, aggravate dalle difficoltà di accesso alle cure”.
La salute mentale, grande assente del PNRR
Per Cittadinanzattiva la salute mentale in Italia vive dunque un grande paradosso: proprio quando i disturbi mentali aumentano, i servizi sanitari dedicati diminuiscono. Un paradosso alimentato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che, nell’ampia riforma della sanità e dell’assistenza territoriale, ha “dimenticato” un esplicito riferimento agli investimenti nella tutela della salute mentale. Un vuoto solo in parte colmato con due recenti provvedimenti di cui si attende la piena attuazione. Sono le “Disposizioni in materia di potenziamento dell’assistenza a tutela della salute mentale e dell’assistenza psicologica e psicoterapica” del decreto legge n. 228 di dicembre 2021 e le “Linee di indirizzo per la realizzazione dei progetti regionali volti al rafforzamento dei Dipartimenti di Salute Mentale regionali” che, a fine aprile scorso, il Ministero della Salute ha trasmesso alla Conferenza delle Regioni e Province Autonome.
Il bonus psicologo? Aggira il problema
A molti – osserva Cittadinanzattiva – è sembrato un modo per farsi perdonare la dimenticanza in sede di PNRR. Si tratta del “bonus psicologico 2022”, introdotto dalla legge di conversione dell’ultimo Decreto Milleproroghe. Ovvero il contributo di massimo 600 euro per sedute di psicoterapia da svolgere presso specialisti privati iscritti all’albo degli psicologi o psicoterapeuti, riconosciuto in base a una serie requisiti, a partire dall’ISEE.
Per Cittadinanzattiva “è un palliativo: nei servizi pubblici italiani ci sono soltanto 5mila psicologi, e a supplire alle carenze del servizio sanitario sono i pazienti e le loro famiglie” sottolinea l’organizzazione. Secondo le associazioni del “Coordinamento Nazionale per la Salute Mentale”, di cui fa parte anche Cittadinanzattiva, “non è con l’introduzione di un bonus che si affronta la ‘pandemia psichica’ causata dal Covid, ma con misure strutturali che rafforzino la rete dei Servizi Pubblici”. Inoltre, il bonus “eludendo l’urgenza di adottare misure per rafforzare il sistema dei servizi pubblici, introdurrebbe discutibili modalità di accesso a prestazioni sanitarie essenziali senza alcuna valutazione da parte del SSN, dei medici di medicina generale, dei professionisti operanti nei servizi di psicologia e di salute mentale territoriali. Soprattutto, senza le garanzie di equità, qualità, appropriatezza e verifica di efficacia degli interventi, cui devono conformarsi fino a prova contraria le attività del SSN”.
Il (tanto) lavoro da fare per salvare il futuro
“Negli ultimi anni – evidenzia ancora Cittadinanzattiva – abbiamo assistito ad un progressivo impoverimento dei Dipartimenti di salute mentale e, più in generale, ad una scarsa attenzione alla prevenzione dei disturbi e delle malattie mentali che sono invece in grande aumento. C’è molto lavoro da fare ancora per ridurre il divario tra questi bisogni e le risposte che devono essere garantite”. A partire dai pregiudizi legati alla malattia mentale, per cui secondo l’associazione è fondamentale “investire su una medicina territoriale incentrata su servizi di prossimità a persone e comunità”. Questo per individuare subito i primi campanelli d’allarme della malattia e intercettarla prima che degeneri.
Considerando poi gli effetti psicologici che la pandemia ha avuto soprattutto sui più giovani “sarebbe necessario potenziare i servizi per l’infanzia e l’adolescenza, perché i problemi di salute mentale insorgono già nell’età pediatrica e se si interviene precocemente con interventi mirati e multidisciplinari si possono limitare i rischi. Serve un intervento trasversale e precoce in un’ottica di prevenzione: non allocare risorse sulla salute mentale ci impedisce anche di investire sul futuro delle nuove generazioni”.
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