Risposta negativa per l’Associazione delle famiglie datori di lavoro domestico Domina. Solo 2 pensionati su 100 potrebbero permettersi di pagare il salario minimo alla propria badante. I costi per le famiglie che hanno assunto regolarmente un caregiver potrebbero aumentare dal 41 al 91% all’anno, quindi addirittura arrivare quasi a raddoppiare. Dando spago al lavoro nero.
Nel mese di dicembre è tornato in auge il dibattito sull’introduzione del salario minimo legale. Lo scorso 6 dicembre, infatti, il Consiglio europeo ha dato il via libera alla proposta di Direttiva UE in materia presentata ad ottobre 2020 dalla Commissione Europea. Un ok che consente di avviare i negoziati con l’Europarlamento, che a novembre aveva già espresso parere favorevole sul provvedimento, secondo le procedure previste dal diritto dell’Unione Europea. Ma cosa succederebbe nel nostro Paese se il salario minimo venisse introdotto nel settore del lavoro domestico?
Cosa prevede la proposta della Commissione Europea
La proposta di Direttiva presentata dalla Commissione Europea prevede di introdurre in tutti gli Stati membri quattro obblighi principali. Il primo è la promozione della contrattazione collettiva, in particolare in materia di determinazione dei salari. “Tendenzialmente – spiega il Consiglio Europeo -, nei paesi caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva la percentuale di lavoratori a basso salario è minore e le retribuzioni minime sono più elevate rispetto ai paesi in cui tale copertura è più bassa”. Partendo da questo assunto, la proposta legislativa prevede che, nel caso in cui la copertura della contrattazione collettiva sia inferiore al 70%, gli Stati membri debbano definire un piano d’azione per promuoverla.
Secondo punto è il rispetto di una serie di obblighi procedurali, per fissare e/o aggiornare i salari minimi legali con regolarità e tempestività, anche mediante meccanismi di indicizzazione automatica. Così come per valutarne l’adeguatezza. Ancora, la Direttiva prevede l’adozione di misure per migliorare l’accesso effettivo alla tutela garantita dal salario minimo per i lavoratori che ne hanno diritto a norma del diritto nazionale: controlli e ispezioni adeguati; informazioni facilmente accessibili sulla tutela garantita dal salario minimo; un richiamo alle norme vigenti in materia di appalti pubblici; il diritto di ricorso e sanzioni per i datori di lavoro inadempienti. Infine, si prevede la raccolta dei dati e la comunicazione degli stessi alla Commissione almeno ogni due anni, al fine di monitorare la copertura e l’adeguatezza della tutela garantita dal salario minimo.
Una novità non per tutti
Anche se in Italia non c’è, il salario minimo non è una realtà sconosciuta in Europa. Anzi. Secondo i dati diffusi da Openpolis su stime fornite da Eurostat, l’Italia è uno dei pochi paesi UE a essere sprovvisti di una normativa sul salario minimo, insieme a Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria e in parte Cipro, dove una misura di questo tipo esiste ma solo per certe categorie di lavoratori. Dunque, ben 21 Stati su 27 Membri UE già prevedono una garanzia di questo tipo. In alcuni di essi, come la Slovenia, il salario minimo ammonta a più della metà del reddito medio nazionale. Gli importi sono variabili, andando dai 332 euro al mese in Bulgaria ai 2.202 in Lussemburgo.
Anche in Italia, spiega ancora Openpolis, un fondamento di legge all’introduzione del salario minimo c’è. Ed è nell’articolo 36 della Costituzione. “Il lavoratore – si legge al primo comma – ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Solo 2 pensionati su 100 potrebbero permettersi il salario minimo del caregiver
Ma cosa succederebbe se il salario minimo venisse introdotto in un settore come quello del lavoro domestico?
Secondo l’Associazione Domina (Associazione nazionale famiglie dei datori di lavoro domestico), ciò “renderebbe ancora più gravoso il peso dell’assistenza alle famiglie; rendendo di fatto ancora più appetibile il ricorso al lavoro nero”. In un recente report, l’Osservatorio Domina sul lavoro domestico ha dunque analizzato l’impatto di questa misura sul bilancio familiare di un pensionato o di una famiglia italiana. Stimando che l’introduzione del salario minimo aumenterebbe notevolmente i costi annui. Un incremento dal +41,1%, nei casi di un orario di lavoro pari a 25 ore a settimana, al +91,5% nel caso di 54 ore settimanali con convivenza del caregiver.
Per formulare queste previsioni, l’Associazione ha utilizzato i dati delle dichiarazioni dei redditi – spiega su Redattoresociale.it – stimando che i contribuenti per i quali la pensione è la principale fonte di reddito sono 13,5 milioni. Fra questi, oltre il 60% degli anziani ha un reddito complessivo al di sotto dei 20 mila euro annui; più di un quarto è addirittura sotto i 10 mila euro annui. Già per i primi, l’importo di reddito spendibile ammonta a meno di 14.600 euro annui (al netto delle tasse).
L’Osservatorio Domina ha quindi sommato alla spesa annua per consumi il costo di ogni lavoratore domestico; poi ha confrontato questa spesa con il reddito netto da pensione. “Attualmente a potersi permettere un’assistenza continuativa con il solo reddito da pensione – evidenzia Domina – è solo il 10% dei pensionati; mentre con il salario minimo questa percentuale si ridurrebbe al 2,2%, rendendo necessario l’intervento dei familiari (generalmente i figli) o l’utilizzo di risparmi”. O, peggio, accentuando il ricorso al lavoro nero o a irregolarità che nel settore si registrano già, secondo l’Associazione, nel 57% dei casi.
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