Gennaro Saccone.
Ingegnere, esperto della Protezione Civile per eventi naturali e verifiche sismiche, appassionato di viaggi, fotografia e tango argentino, recita in Commedie d’autore della tradizione napoletana. Vincitore di Premi Letterari nazionali e gli ultimi premi vinti sono: “Premio Domus Artis Mater” – Caserta, “Premio Raffaele Viviani” Napoli, Premio “Scrivi con le Stelle” – Roma, “Premio Poesia Filo d’Argento Auser” – Caserta. “Premio Poesia in vernacolo Accademia Gioacchino Belli” Roma. Blogger, collabora con Riviste Scentifiche online (come “NewAge). Al Concorso 50&Più nel 2017 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la prosa e nel 2018 ha vinto la Farfalla d’oro per la prosa. Vive a Caserta.
Mi chiamo Antonio e per la gente io non esisto, è come se fossi trasparente, non mi vedono.
E’ perché sono paraplegico, a quelli “normali” la mia vista disturba, dà fastidio.
No, non sto su una sedia a rotelle, posso camminare, ma sono brutto, sgraziato, mi muovo a scatti, parlo ancora peggio, le parole mi escono con difficoltà, vorrei dire quello che sento, ma mi escono suoni gutturali, il mio corpo è una prigione.
E’ stato un coglione di medico a ridurmi così, non si decideva a farmi nascere, mi è mancato il sangue al cervello, ancora due minuti e sarei nato anche cieco.
Ok, lo ammetto, non sono un bello spettacolo, quando mi guardo allo specchio non mi accetto, non posso fare a meno di pensare: “Madonna, quanto so’ brutto”. Già, il mio corpo è un alieno, un estraneo, non lo riconosco.
Secoli e secoli di evoluzione hanno portato al mito del corpo perfetto.
Il mio tempo è senza tempo, un’ora, un giorno, due giorni son la stessa cosa, pieni di niente. Di me non so niente, non capisco chi sono, non mi conosco, come tutti, riesco a cogliere solo frammenti della mia identità. Siamo isole circondate dal mare, per riconoscerci bisogna guadare dentro l’altro, ma siamo sempre troppo distanti. La disabilità più grave è l’assenza di empatia. Steso sul letto vorrei che questo fottuto mondo implodesse, che il mattino non arrivasse mai,
E alla fine di tutto il nostro andare, si ritorna al punto di partenza.
Abito nel piccolo appartamento, niente di che, sono vecchie case popolari, che mi hanno lasciato i miei genitori. Già. I miei genitori. Mio padre non mi ha mai accettato, lo so avrebbe voluto un figlio “più normale”. Papà, ma ti costava tanto farmi una carezza, far finta di volermi bene… un tuo abbraccio, quanto avrei voluto un tuo abbraccio
Nel mio condominio fanno finta di non vedermi, per loro sono un problema, quando passa il “mostro” si girano dall’altra parte. Solo un bambino si è fermato qualche volta perché voleva salutarmi e mi sorrideva, ma la madre se l’è tirato per il braccio dicendo:”Andiamo, non dare fastidio al signore!”.
Sopravvivo con la mia pensioncina di invalido. Ce la faccio appena, spesso vado a mangiare alla Caritas. I volontari mi mettono un piatto davanti guardandomi appena. I barboni e i senzatetto mangiano in silenzio, guardando solo nel piatto senza una parola, appena finito vanno via, sempre in silenzio si allontanano. Solo i neri hanno un’anima speciale, sempre con la voglia di sorridere, di scherzare.
La sofferenza enorme non si fa in tempo a consumarla interamente, ed appare ingiustizia doverla distribuire per ogni giorno, per ogni ora, per ogni momento.
Mia madre a modo suo mi voleva bene, anche se malediceva il padreterno per la mia nascita. Mio padre mi rifiutava, per lui esisteva solo mio fratello, quello bello e normale, che quando s’è laureato è andato a lavorare all’estero. Qualche volta mi scrive, mette qualche decina di euro nella busta. Allora vado al supermercato e prendo bottiglie di vino. Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso Bevo e i pensieri si fanno più lucidi. Le bellezze del creato? Un velo di cipria sull’orrore. La poesia? Quando il sole si spegnerà, della più sublime poesia non resterà traccia.
Bevo ancora finché non mi sparisce sto’ mondo e mi sento leggero, vedo luci, colori e non me ne fotte più di quanto sono brutto. Una bottiglia e tutto il resto scompare. Il nulla è parente dell’eternità.
La gente pensa che quelli come me non hanno sesso, come gli angeli, ma certi momenti la mia carne arde di desiderio, sento il bisogno fisico di toccare una donna, di provare il sapore della sua bocca, di stringerla, ma posso guardarle solo di sfuggita, stando attento a non incontrare il loro sguardo. Non sopporto di essere ricambiato con un misto di disgusto e pietà. ma il desiderio mi tormenta, forza implacabile che non riuscirò mai a soddisfare. No, carezze e parole sussurrate per me non ci saranno mai…
La mia morte si diluisce lentamente e il tempo fa il suo mestiere. Per quanto strofini con forza il buio non riesco a fare luce.
Fratelli, può capitare anche a voi di restare indietro. Se è vero che siamo qui siamo tutti in una lotta senza fine, ma l’inferno vero è riservato a pochi eletti.
Dicembre. Quello è il mese peggiore. Odio Natale Capodanno, le luci per strada, la gente che corre, si abbraccia, si scambia gli auguri, ed io resto ancor di più invisibile, guasto il quadro perfetto di allegria di queste stramaledette giornate. L’aria di festa è d’obbligo. Ogni volto è un confine per me, ed allora sono in grado di valutare senza pietà la mia povera vita con un po’ più di obiettività del solito.
Poiché non sappiamo quando moriremo, alcuni sono portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile, mentre quelli come me vorrebbero solo liberarsi di un macigno che li schiaccia.
Per Natale mio fratello mi ha mandato nella busta qualche banconota in più da 10 euro. Ho comprato due bottiglie di vodka. Mi sono steso sul letto, ho bevuto finché la mano riusciva a reggere la bottiglia. Steso sul letto basta una bottiglia per volare via.
Poi ho fatto un sogno bellissimo.
Mi sono sentito abbracciato con tanta dolcezza e ho sentito una voce che mi sussurrava: “Anch’io sono in invisibile, sono Dio”.
Non ho voluto più risvegliarmi. Ho lasciato questa vita meglio di come l’ho trovata.