Anselma Rovida.
Vive a Segrate (Mi). Si definisce “scrittrice dilettante per piccoli sognatori”. Partecipa al Concorso 50&Più per la terza volta; nel 2018 ha ricevuto la Menzione speciale della Giuria per la prosa.
La sua forzata collaborazione alla famiglia Clepton era stata un’esperienza negativa.
Avevano verso di lui un atteggiamento da padroni assoluti: senza un briciolo di affetto né considerazione.
Joe Clepton, il secondo dei tre fratelli, lo derideva continuamente.
Il Sabato, al lavatoio posto all’angolo del grande giardino, Tommy lavava la biancheria di casa e Joe, sotto lo sguardo indifferente della madre, si divertiva a lanciargli secchiate di gelida e sporca acqua insaponata.
Nella numerosa famiglia Clepton non c’era amore per Tommy.
Veniva considerato un domestico senza alcun diritto.
“L’abbiamo tolto dall’orfanatrofio”, spiegava commiserevole ai vicini la signora Annie Clepton,”dove non era di nessuna utilità, ora deve imparare come servire chi lo mantiene”
Luca, l’obeso fratello maggiore, mangiava ogni cosa commestibile gli capitasse tra le mani.
Un giorno la madre lo redarguì severamente per aver sottratto la torta appena sfornata.
Lui incolpò prontamente Tommy: gli aveva appoggiato sul letto l’avanzo di una piccola fetta e a sua discolpa l’aveva fatta trovare alla madre.
Tommy aveva il torto di non aver alcuna difesa.
Era usanza riportare all’orfanatrofio il colpevole di qualsiasi azione non conforme alle regole. Lo aspettavano tre mesi di punizione che avrebbero ostacolato il nuovo eventuale affidamento.
Erano due mesi che Tommy era ritornato all’orfanatrofio.
Era ormai rassegnato quando un fatto inaspettato aveva cambiato completamente lo scorrere della sua vita.
Il guardiano della porta d’ingresso dell’Istituto si era assentato momentaneamente proprio mentre Tommy gli stata consegnando una missiva del vice-direttore.
La porticina dell’immenso portone era aperta, Tommy si era affacciato sospettoso e non vedendo nessuno se ne era andato furtivamente.
Era una nebbiosa giornata, e mentre guardingo si allontanava, respirava la libertà a pieni polmoni.
Aveva vagato un giorno intero pensando come risolvere il suo problema di fuggitivo.
In quella buia notte di un freddissimo inverno, Tommy, 16 anni appena compiuti, infreddolito e affamato stava ancora gironzolando sulla riva del fiume Tamigi.
Vestiva una giacchetta blu sopra un paio di corti pantaloni a quadretti.
La strada era deserta. Nella foschia si vedevano in lontananza le finestre illuminate dei palazzi allineati sulla riva destra del fiume che scorreva lento e scuro. Non sapeva cosa fare, e soprattutto dove andare.
Intanto all’orfanatrofio, London Orphan Asylum, dell’East London da dove Tommy era fuggito, la direttrice inveiva contro i poco attenti collaboratori: “Tommy deve essere trovato assolutamente”, gridava istericamente.
Ma Tommy non voleva più rendere conto a nessuno. Avrebbe cercato un lavoro come aiuto scaricatore. Si era rifugiato sotto il telone ripiegato nel pozzetto di un vecchio gozzo cabinato, ormeggiato poco distante e si era addormentato. Era un sonno agitato e confuso. Vedeva la direttrice che lo strattonava violentemente obbligandolo a inginocchiarsi, mentre lo bacchettava istericamente sulla schiena.
Improvvisamente aveva sentito un freddo pungente: qualcuno aveva tirato il telone e lo stava riavvolgendo ai suoi piedi. “Come ti chiami. Quanti anni hai? Da dove sei fuggito?”, lo aveva incalzato con voce rude il marinaio che lo stava osservando.
“Non dirmi bugie”, gli aveva detto bonariamente, “posso aiutarti. Ma devo sapere come rispondere agli eventuali controlli”.
Tommy era diffidente, ma voleva avere una persona in cui credere e dalla quale poter avere affetto e considerazione.
“Sono Tommy, ho 16 anni. Sono fuggito dall’Orfanatrofio all’East London. Vi prego, tenetemi sulla barca, lavorerò per voi tutto il giorno e anche la notte. Non voglio tornare in quell’inferno. Preferisco gettarmi nel Tamigi. E’ così freddo che morirò in pochi minuti”, disse mettendosi in piedi sulla prua.
“L’acqua del Tamigi ti farà morire di colera non di freddo. Spostati da lì. Mettiti addosso questo giubbotto e cerca di infilarti questi pantaloni, se ci riesci. La tua “divisa” collegiale dà troppo nell’occhio”, e allungò anche un panino all’affamato Tommy che lo finì in un baleno. “Verrai con me a pescare nell’Old Father Thames. Di notte cercheremo il lucioperca, di giorno andremo a cercar storioni o salmoni nei pressi di Teddington Lock”, aveva continuato Amos il marinaio, “non so per quanto potrai nasconderti. Certamente la direttrice dell’istituto ha fatto denuncia”.
“Non scenderò dalla barca. Non mi troveranno mai”, sussurrò Tommy, felicissimo della comprensione di quel gentile marinaio.
Tommy si sentiva finalmente accettato. Così quando Amos era andato a recuperare qualcosa per la cena, Tommy si era messo a pulire la carena e a riordinare la cambusa.
Il giorno seguente, Amos era andato a indagare presso il London Orphan Asylum. Si era finto interessato a dar lavoro, vitto e alloggio ad un giovane che avrebbe potuto aiutarlo nella pesca di salmoni. Il ragazzo avrebbe dovuto avere circa 16 anni, buon lavoratore e senza vincoli di famiglie affidatarie. Gli avevano dato da consultare l’elenco dei ragazzi disponibili .
Nei quattro nomi di ragazzi dai 15 ai 18 anni aveva trovato alcuni dati che identificavano Tommy.Tommy n.c. – alto 1.70 -peso kg. 58 -capelli scuri -16 anni
Madre ignota, trovato nella “ruota degli esposti” il 18 novembre 1824
Particolarità: neonato con cordone ombelicale da recidere
Caratteristiche: buon lavoratore, poco disponibile all’affido, ribelle
Aveva ringraziato frettolosamente e si era riservato di decidere.
Affioravano i ricordi: 33 anni prima sua moglie Eloise era morta nel dare alla luce la piccola Aline. Amos aveva cresciuto sua figlia Aline con rigore e tanto affetto paterno. Ma quando l’adolescente Aline aveva manifestato le prime immature ribellioni, Amos si era reso conto che la figura della mamma mancava in modo determinante. Aline aveva 15 anni, Amos si era deciso a sposare Greta, l’insegnate di tedesco che dava lezioni ad Aline, e con la quale c’era stato qualche fugace approccio. Si era convinto che tra Greta e Aline ci fosse della complice confidenza che poteva sostituire vagamente la figura materna.
Aveva solo 16 anni, Aline quando piangente aveva confidato a Greta di essere incinta. Avrebbe voluto tenere il piccolo ma Greta le aveva detto perentoriamente che a quell’età non si può condizionare l’avvenire con un “simile contrattempo”. “L’essere incinta a 16 anni è un incidente di percorso al quale si deve rimediare”. Le diceva continuamente.
Aline, non era assolutamente d’accordo e una notte era fuggita.
Amos l’aveva cercata nel quartiere di Limehouse: zona est di Londra, dove si viveva con pochi soldi, nello slurn, nella sinner-city. Nulla: Aline era introvabile. Otto mesi dopo. Il 18 novembre 1824, Aline si era presentata alla porta di suo padre. Doveva partorire e non c’era nessuno che potesse aiutarla.
“Papà, sono sola. Sto partorendo, papà sto morendo: aiutami papà”.
Amos aveva subito chiamato il medico. Troppo tardi. Si era ripresentata la tragedia di sua moglie Eloise. Aline non aveva sopportato il parto. Sconvolto, Amos aveva avvolto il piccolo nato in un telo e lo aveva portato alla “ruota degli esposti” . In quella bussola cilindrica girevole, aveva lasciato alla carità delle Suore una somma consistente per quel piccolo da crescere.
Aveva abbandonato Greta, la casa, l’azienda che gli permetteva di vivere agevolmente e si era isolato sulla barca che piaceva tanto ad Aline. Il bere gli consentiva di essere assente. Solo con le sue amarezze. Solo, con i suoi ricordi. Ora aveva la possibilità di cambiare il corso della vita di chi lui aveva escluso dal suo mondo amaro. Era tornato alla barca deciso: voleva dare a Tommy quello che aveva perso.
Il vecchio gozzo era rimessa a nuovo . Tommy era orgoglioso e sperava che quanto fatto servisse a rendere arrendevole il suo capitano. “Che ne dici? Mi tieni come mozzo? Vedi come ho rimesso a lucido lo tua caretta?”.
Amos aveva sorriso compiacente: “Vieni Tommy”, aveva detto gravemente con un filo di voce portandolo sotto-coperta, “Ti devo raccontare un po’ di cose.” Si era seduto di fronte a Tommy e guardando con fatica in quegli occhioni scuri che gli ricordavano tanto Aline, gli aveva parlato con dolce tristezza degli avvenimenti che lo coinvolgevano.
Tommy era ammutolito. Sbiancato in volto non aveva mai interrotto Amos. Guardava fisso nel vuoto. In lui turbinavano contrastanti pensieri di impotente rabbia, di arrendevole gioia. Il suo destino aveva girato pagina. Il suo motivato rancore lasciava il posto a una sconosciuta felicità. Ora guardava Amos con curiosità. Non nutriva rancore per lui. In un momento aveva completamente dimenticato le amarezze trascorse. Avrebbe voluto parlare, chiedere, raccontare, ridere, gridare e soprattutto piangere: di gioia, di rabbia, di malinconia. Si appoggiò sulla spalla di Amos e pianse di gioia.
Amos teneramente accarezzava i suoi neri capelli, erano le prime carezze della vita di Tommy: n.c. – alto 1.70 -peso kg. 58 -capelli scuri -16 anni. Madre ignota, trovato nella “ruota degli esposti” il 18 novembre 1824