Gianni Rovelli.
Primario emerito Cardiologo e Presidente dell’Università Libera Età. I suoi hobby sono l’Arte e la Fotografia. Partecipa al Concorso 50&Più per la decima volta. Farfalla d’oro per fotografia nel 2014 e per la Prosa nel 2015, Libellula d’oro per la Fotografia nel 2017 e Menzione speciale della giuria per poesia nel 2019. Vive a Rho (Mi).
Era un mattino di un gelido Gennaio; quel cielo livido sfumato da aloni giallastri, quel colore tipico dei rigidi inverni del nord; colori che si specchiano con la campagna imbiancata da una sottile coltre di neve ghiacciata dalla quale spuntavano rare appuntite, annerite stoppie, rimasuglio della mietitura estiva. Il gelo donava alle cose più banali una trasparenza e nel contempo una certa durezza.
Da un pertugio di un fatiscente cadente edificio, antica distilleria sulla quale troneggiavano ancora antiche insegne arrugginite, sferzato da un gelido vento, pose fuori il suo appuntito naso Jones per poi ritrarlo di botto imprecando al brutto tempo.
Anche il fantasma soffriva il gelo.
Le anime che stavano lì sotto in quel lugubre cimitero urbano erano nel disperato tentativo di trovare una loro collocazione. Chi vi lavorò in vita, chi lo profanò dopo la disfatta economica.
Rivestite con stracci di juta; sacchi vuoti traballanti, vagolanti tra un labirinto di alambicchi di rame e pignatte coperte da ragnatele e polvere grigia, fantasmi pigiati a terra uno sull’altro tra liquami e miasmi nauseanti. Alcune vecchie bottiglie di liquore con prestigiose etichette, ammassate alla rinfusa su scaffali corrosi dal tempo e dai tarli facevano da contraltare a questo tragico palcoscenico.
Le recite erano accompagnate da lamenti, ululati che componevano una lugubre ininterrotta nenia. Gli abitanti del borgo se ne stavano alla larga. Solo derelitti senza tetto entravano per dormire e rubare da quei rari pertugi possibili dopo la muratura degli ingressi.
Jones era preoccupato da quell’intrusione. La fabbrica era gelosamente sua e dei suoi spiriti quindi temeva una ritorsione contro gli invasori ritenuti colpevoli di furti di rame e di conseguenza del progetto d’abbattimento del vetusto edificio da parte delle autorità.
Scrutava al di là della Camionale che nel 1935 divise il borgo: un paesaggio spettrale.
Case dei primi Novecento che ospitarono i primi operai della fabbrica. Eleganti nella loro sagome Liberty. La loro storia scolpita sulle facciate scolorite e annerite dallo smog. Chiazze di antichi colori resistevano ancora al degrado del tempo.
Vetrate infrante, tapparelle divelte da vandali testimoniavano un angosciante abbandono. Più in là un casermone popolare decrepito e abbandonato.
Una luce fioca traspariva da una finestra di un misero alloggio appannata dal gelo. Sembrava vi fosse qualcuno.
Jones era convinto vi abitasse Artidor suo acerrimo nemico in vita, spirito guerriero riemerso dalla Necropoli di Libarna dove la sua anima trovò rifugio dopo una tragica fine. Villaggio fondato dai Liguri che divenne un importante centro economico e sociale. Nel I° secolo d.c. raggiunse il massimo splendore dopo aver ottenuto il riconoscimento giuridico di cittadinanza latina.
In seguito alle invasioni barbariche cadde in declino e le case ormai insicure, procurarono la fuga degli abitanti che si rifugiarono sulle colline circostanti fondando nuove comunità come quella di Serravalle.
In vita Jones fu il fondatore dello Stabilimento.
Aveva un nome, un ruolo da leader, una responsabilità, una forte ideazione e moralità.
Sotto la sua gestione ebbe decine di maestranze convinte di raggiungere l’obiettivo di creare una prima Distilleria Nazionale all’esordio della rivoluzione industriale.
Eravamo alla fine dell’Ottocento quando Jones fondò quella fabbrica di grappe e liquori su ricette di un frate missionario del Settecento. Alambicchi di rame a vapore a ciclo continuo erano gestiti da operai provenienti dall’Oltrepò che lavoravano le vinacce delle colline pavesi.
Artidor rappresentò la fazione popolare contestatrice della seconda rivoluzione industriale.
L’economia era basata solo sull’agricoltura e la produzione serviva a stento il sostentamento dei nuclei familiari.
La classe politica locale aveva tendenze conservatrice che vedeva nell’industrializzazione motivi di possibili dissesti sociali.
Lo sfruttamento e le paghe esigue erano motivo di aggravamento della vita dei lavoratori, quindi di ribellione.
Artidor capopolo organizzò localmente lo sciopero generale di sette giorni nel 1904.
Qualche anno dopo un grande incendio distrusse lo stabilimento durante il turno di lavoro
coinvolgendo le maestranze. Un evento doloso, secondo molti, che indicarono in Artidor l’autore. Fu indagato e il processo divise la comunità tra colpevolisti e innocentisti. La sentenza fu di assoluzione anche se alcuni testimoni lo videro maneggiare taniche di benzina proprio a ridosso dei giorni della tragedia.
Qualche mese dopo rinvennero il suo corpo arso, riverso su una lastra tombale della Necropoli di Libarna.
Qualcuno ordì la vendetta, bruciandolo vivo come confermarono il Commissario di Polizia e il Medico Legale. Nessuno fu indagato, nessuno parlò.
Lo spirito del morto aleggiò per giorni nei pressi del sepolcro. Lui sapeva chi fosse stato ma non poteva comunicare se non occupare il corpo di un vivente. Toccò ad un povero barbone che occupava lo squallido alloggio abbandonato.
Qualche anno dopo Jones fu vittima a sua volta di morte violenta ustionato dallo scoppio di un alambicco che lo investì. Il suo spirito non si allontanò e rimase tra i defunti insepolti ad aleggiare nella fabbrica insieme a coloro che bruciarono vivi.
Una notte il barbone affamato, pensò bene di introdursi nella fabbrica insieme ai colleghi che sui vecchi banconi, consumavano, una frugale cena prima di gettarsi a corpo morto su contesi e improvvisati giacigli di cartone o di luridi stracci.
Jones riconobbe lo spirito di Artidor nell’intruso temendo un attacco personale.
Così gli aizzò contro gli spiriti amici. Fu un putiferio. Inscenarono una vera e propria bolgia infernale: vecchie bottiglie che volavano e s’infrangevano contro le pareti, giacigli che si libravano in aria, tra lo stupore e il terrore degli ospiti clandestini che non capivano cosa stesse succedendo. Un chiasso assordante risvegliò gli abitanti della zona intorno la fabbrica, mentre tutti uscivano malconci nel pieno della notte tra le maledizioni dei residenti.
Artidor abbandonò il corpo del barbone che fu travolto durante la tumultuosa fuga.
A malapena ritornò claudicando alla sua squallida dimora imprecando contro se stesso.
Jones si convinse di aver sconfitto il suo avversario ma non immaginava quale fosse il suo destino e dei suoi quando la Fabbrica fosse stata abbattuta.
Artidor lo sapeva ed era lì in attesa con un ghigno di sfida in piedi su uno dei sepolcri di Libarna. Dove sarebbero arrivati se non lì in quella Necropoli?. La fabbrica aveva i giorni contati, il suo abbattimento era stato deciso.
In quel luogo Jones e i suoi fedeli avrebbero posto fine alle loro tribolazioni, ma non sapevano che avrebbero dovuto ingaggiare un’altra disfida prima di raggiungere l’eterno oblio. A distanza di un secolo la vendetta non si placò neppure dopo la morte. Un’eterna drammatica metafora.