Ilde Rosati.
Nata a Castelnovo Monti (Re) vive a Reggio Emilia. Insegnate di attività pittoriche in pensione, coltiva le sue passioni: scrittura, storia locale, calligrafia, disegno e pittura. Partecipa al Concorso 50&Più da diversi anni e oltre alle Farfalle d’argento ha ricevuto 6 Menzioni speciali della giuria per la prosa; nel 2019 ha vinto la Farfalla d’oro per la prosa, nel 2020 la Superfarfalla e nel 2021 la Segnalazione speciale sempre per la prosa.
Può la fotografia di un paesaggio scatenare i ricordi vissuti tanti anni prima e provare le stesse emozioni di quel momento in cui percepii di aver sfiorato la felicita?
La mia amica, inviandomi attraverso il web la foto in questione, sapeva benissimo che conoscevo quei luoghi, per avervi passato l’infanzia, e pretese da me una risposta. Come risponderle in poche righe e spiegarle che quel paesaggio mi rievoca la serenità e nel guardarla mi ritrovo con l’animo tranquillo di quel giorno?
Era maggio, il sole era sorto da poco ed io accompagnavo il mulo Bigio da casa dei miei nonni fino al paese più vicino per consegnare il latte della mungitura del mattino al caseificio.
Dopo una lenta camminata di un paio di chilometri, arrivammo all’ultima curva: quasi all’improvviso si aprì ai miei occhi lo scenario della fotografia inviata dall’amica. Incantata dal paesaggio, ringraziai Dio per la tranquillità che la visione mi infondeva e mi sentii dire spontaneamente: “Sono stata promossa, sto bene, ho diciotto anni, il mondo è mio!“.
Davanti a me una finestra sull’Appennino: le montagne si appoggiavano una alle altre come gradini di una scala che vuole arrivare al cielo.
II verde scuro del monte Castagneto lì in primo piano, seguito da altre cime collinari verdi di coltivazioni fino alla Pietra di Bismantova, regina del territorio e dopo di lei, altri massicci si rincorrono statici avvolti in una nebbiolina azzurra, fino ad arrivare alle cime più alte dell’Appennino, il Cusna il vecchio dormiente che si staglia ancora candido, a maggio, nel cielo azzurrino.
Ricordo tutto e la fotografia mi fa rivivere i ricordi, ora, come fosse adesso.
Avevo da poco superato l’esame per l’abilitazione all’insegnamento.
Quel periodo era stato stressante e a quei tempi i miei genitori non potevano premiarmi con doni costosi o un viaggio liberatorio, ero stanca e chiesi a mia madre di trascorrere alcuni giorni dai nonni, dove avevo passato l’infanzia mentre mia madre lavorava a Milano.
Quello è il posto del mio cuore il luogo ove, anche ora che sono vecchia, vado a riflettere se ho preoccupazioni.
E’ un angolo di paradiso, isolato dal resto del mondo rumoroso, al limitare di un bosco, alle pendici di un monte, vicino al torrente Tassobbio.
Tutto è immutato e mi ricorda i giorni felici di quando ero bambina e le tante esperienze vissute con i nonni nei campi, nei boschi e i giochi nell’acqua ancora limpida che gorgogliava tra i sassi.
I campi si stendono ondulati, tra ciuffi di alberi con colorazioni diverse a seconda delle coltivazioni: la segala, il grano, l’avena , l’orzo contrastati dall’erba medica verde scuro formano un mantello striato e soffice ondeggiante al vento, sul ventre della terra.
Tutta la campagna mi piaceva, coltivata con cura dal nonno e dallo zio Elio che a lei dedicavano la vita. La campagna era attraversata da ruscelli che correvano sul terreno come vene che portano sangue alla terra.
In quella settimana di vacanza proposi alto zio di andare io al caseificio con il mulo Bigio.
“Cosa devo fare ?”. “Niente, Bigio sa dove deve andare e dove deve fermarsi“.
Presi con me il libretto per registrare il peso del latte e mi incamminai nella carraia, l’unica strada in salita che tagliava i campi per arrivare al paese più vicino, un manipolo di case in sasso sdraiato sulla collina a prendere il sole dall’alba al tramonto; e tra le case, il caseificio a raccogliere il latte di tutta la vallata per trasformarlo in parmigiano-reggiano. Io, di fianco a Bigio, camminavo sull’argine calpestando l’erba piena di rugiada e, procedendo lentamente, potevo ammirare le forme degli alberi, ascoltare i galli in gara nelle aie, osservare il volo degli uccelli intenti alla ricerca di cibo dopo la notte fredda.
Bianche nuvolette svolazzavano nel vasto cielo che prometteva una giornata calda, ma a quell’ora, l’aria era fresca e leggera sulla pelle del viso, piacevole ed armoniosa come tutto intorno a me era armonia.
L’odore del concime non disturbava: faceva parte dell’ambiente bucolico e produttivo. Anche gli insetti non disturbavano: avevano il loro daffare nel posarsi sui fiori tra l’erba.
Il sole era sorto da poco; respiravo a pieni polmoni l’aria limpida e sembrava mi liberasse dai pesi facendomi vivere una ebrezza mai vissuta prima : una sensazione deliziosa e fuggevole accarezzata come ero dall’aria e dal paesaggio che mi circondava.
Anche Bigio era importante in quel contesto e mi sentivo bene come forse non lo sono mai stata in seguito, insomma vivevo appieno la delizia di quel paradiso. Là in fondo vedevo la casa della nonna con il camino che fumava, l’orto limitrofo al ruscello che assicurava acqua e sabbia alle piantine.
Quel corso d’acqua era il mio gioco preferito: impastavo l’argilla biancastra accarezzata dall’acqua per manipolare formine che poi il sole spezzava, ma imperterrita, con l’acqua fino alle ginocchia, ogni giorno impastavo argilla per fare altre forme.
Allora non c’erano auto a violare la quiete del paesaggio, i soli rumori erano il frusciare delle foglie dalla brezza, i versi degli animali, i richiami che si facevano i contadini, o il canto di donna che raccoglieva radicchi per la cena. Tutto mi torna davanti agli occhi guardando la foto, e sento il profumo del pane fatto in casa dalla nonna, l’odore umido della cantina dove il nonno travasava il vino, it canto delle galline dopo aver fatto l’uovo e il brontolio della nonna che lamentava il dolore all’anca.
Avevo rivissuto tutto questo quella settimana di riposo prendendo atto che tutto era rimasto immutato, una vita semplice con la regola fissa della laboriosità come avevo vissuto diciotto anni prima.
Ora faro sviluppare la fotografia che mi ha inviato l’amica ed ogni volta che l’avrò tra le mani, ricorderò tutto ciò; sento che mi farà bene.
Impossibile dare una risposta in poche righe alla mia amica, è impossibile spiegare la nostalgia che mi attanaglia il cuore.