Un Paese che cambia alla vigilia del Sessantotto, una ragazza che sfugge alla chiusura della provincia per raggiungere Roma dove vuole studiare e laurearsi; l’incontro coi movimenti studenteschi e il femminismo. Tutto nel nuovo libro di Ritanna Armeni, “Per strada è la felicità”
Ci vuole coraggio a cambiare. E ne serve tanto più se s’intende cambiare ciò che si ha intorno. Lo testimonia la storia di Rosa Miglietta, la protagonista del libro di Ritanna Armeni Per strada è la felicità (Ponte alle Grazie): un romanzo che racconta la vicenda di Rosa, una tipica brava ragazza di provincia, che vuole laurearsi e per questo arriva a Roma. Solo che è il 1968 e la Capitale è in fermento tra libertà, diritti dei lavoratori, diritti delle donne e facoltà occupate. È in questo contesto che Rosa si cala in completa sintonia con quegli anni, non senza sviluppare però un forte spirito critico: lo stesso che la porterà a indagare – attraverso la sua tesi di laurea – la figura di un’altra Rosa, quella più celebre, la rivoluzionaria: la grande Rosa Luxemburg.
Ritanna Armeni, chi c’è in questo suo libro?
Da una parte c’è Rosa – la protagonista, Rosa Miglietta -, la ragazza che incontra il ’68, il femminismo, il movimento, l’Italia che vuole cambiare e, dall’altra, c’è la grande Rosa: Rosa Luxemburg, che ha scritto libri fondamentali, che è stata una rivoluzionaria, capace anche di criticare Marx e Lenin. La giovane Rosa, la protagonista del libro, costruisce se stessa anche grazie alla grande Luxemburg.
E lo fa appunto anche grazie a una sorta di confronto intimo e immaginario con la figura di Rosa Luxemburg. Perché ha scelto di raccontare proprio questa storia?
Io, in generale, racconto storie di donne. E racconto le donne nella storia. In uno dei miei libri ho parlato del grande amore di Lenin, in un altro delle pilote sovietiche che volavano sui tedeschi; poi ho scritto un libro su una donna fascista, perché penso che la storia delle donne vada riconosciuta e vada raccontata. A un certo punto, nei miei percorsi mentali, sono arrivata agli anni Settanta, che poi sono gli anni della mia gioventù.
È un libro autobiografico?
Questo libro ha molti elementi autobiografici, anche se non è proprio un’autobiografia ed è stato agevolato probabilmente dal lockdown. Il fatto di dover stare chiusa in casa e di poter riflettere anche un po’ sulla propria vita, su ciò che si è fatto, su quelle che sono state le mie conquiste, le sconfitte, mi ha aiutata. Poi è venuta fuori l’idea di scrivere un libro che raccontasse la storia di una ragazza che ormai è vecchia rispetto alle giovani donne di adesso – stiamo parlando, in questo libro, di una storia di ormai oltre cinquant’anni fa.
Perché ha deciso di intrecciare le vite di Rosa, la giovane studentessa, e quella di Rosa Luxemburg?
Un giorno, su Facebook, ho visto un post su Rosa Luxemburg – una donna che io ho sempre molto amato e che, dentro di me, è stata sempre un po’ un modello – e ho pensato che sarebbe stato bello scrivere qualcosa su di lei. Però, ho anche pensato che sarebbe stato bello capire come una ragazza potesse vivere la Luxemburg e così è nato questo romanzo.
Dal libro emerge piuttosto il volto della Luxemburg donna: insomma, non solo la rivoluzionaria che tutti conosciamo…
Ho deciso di dare questo taglio perché, a dir la verità, è quello che mi interessa di più e poi perché è forse il taglio più trascurato. Rosa Luxemburg ha scritto oltre novecento lettere all’uomo che amava. Di lei mi interessavano alcuni aspetti della vita: per esempio, si definiva una cinciallegra. Voleva la felicità e voleva la felicità anche per le persone che dovevano fare la rivoluzione. Questo è un tratto molto femminile perché gli uomini che hanno dovuto fare la rivoluzione si sono sacrificati per la rivoluzione stessa, ma non tanto per la felicità delle altre donne e degli altri uomini. Invece Rosa non vuole cambiare l’umanità astrattamente: vuole aiutarla a cambiare. E tutti questi risvolti di Rosa – che la avvicinano molto a quello che è stato il pensiero delle donne dopo il 1970, al nuovo femminismo – mi sono sembrati molto interessanti.
Rosa Miglietta, la protagonista del libro, capisce che la felicità è per la strada forse nel momento in cui lascia Roma – dove studia -, va a Torino e si trova, per la prima volta, di fronte alle fabbriche, agli operai e alle operaie. In quel momento valica anche il confine che, anche nel movimento, c’era: quello delle donne sempre un passo indietro agli uomini.
Io non ho scritto un libro sul ’68, sugli anni Settanta storico. Ho scritto un libro sui sentimenti di quegli anni: la voglia di trasformare, di stare per strada con gli altri, la felicità, la solidarietà, l’amore. Ed è stato questo sentimento profondo – che si è divaricato in tanti altri sentimenti – che ha prodotto dei cambiamenti. Non è stata la politica, in senso generico. Quello che fa Rosa è un percorso – è anch’esso una strada – che passa attraverso la libertà. Rosa viene dalla provincia e studia nella grande città. E se la provincia è controllo sociale, è la famiglia che ti opprime, la città è altro. Di Roma, Rosa non è colpita dai monumenti ma dal senso di libertà che lei riesce a raggiungere. Poi capisce che la strada degli studi che ha condotto fino a quel momento è insufficiente ed è allora che conosce la libertà della critica. È qui che incontra i compagni di movimento che vogliono cambiare la società e gli operai che intendono cambiare la fabbrica, però poi fa un ulteriore passo in avanti: quello più genuino. Ed è quello in cui riconosce se stessa e le altre – amiche e compagne – come donne. Che sono diverse dagli uomini e che, anzi, sono state fino ad allora usate dagli uomini.
Cosa vorresti che dicesse questo libro alle donne che erano ventenni nel Sessantotto, alle quarantenni di oggi e alle giovanissime?
Alle donne della mia età, di non essere nostalgiche. Come tutti, abbiamo vissuto, abbiamo lottato, abbiamo amato, abbiamo sofferto; ma abbiamo anche aperto delle prospettive che però probabilmente non possiamo riproporre. Penso che le donne della mia età facciano spesso questo errore di nostalgia che, talvolta, produce anche una sorta di rancore, di tristezza. Io invece, quando guardo il mondo delle giovani donne, provo una grande allegria. Mi piace che in loro sia penetrata fino in fondo la pretesa della libertà. Le quarantenni, oggi, sono donne molto arrabbiate perché stanno capendo cose – forse le stesse che capii io molti anni fa – e che però a loro procurano un maggior rancore perché si erano illuse, per un lungo periodo, che molte cose fossero state raggiunte. E poi, invece, si sono ritrovate in un mondo del lavoro che riproduce moltissimi stereotipi. Le vedo, però, molto combattive, ed hanno assimilato il messaggio che è stato loro mandato: non in modo ideologico, ma nel senso più vero, nel modo di costruire se stesse. Le ventenni di adesso sono invece tutte da studiare. Mi sembrano molto più attrezzate di noi, ma non so dove riusciranno a convogliare la loro forza e quanta effettivamente sia.
Come sarebbe Rosa oggi se immaginassimo un sequel di questo libro?
Rosa sarebbe piuttosto anzianotta, avrebbe la mia età. Forse bisognerebbe scrivere un libro su cosa significhi essere anziani dopo che si è sperato di cambiare il mondo, che cosa è rimasto di quelle speranza e come è cambiato il carattere. Perché, in realtà, sono convinta che, col passare degli anni, siamo come un tronco di legno che viene man mano scolpito.
Invecchiare cosa significa?
Per molti aspetti significa stare meglio. Ma si sta meglio con grande fatica: per continuare a costruire se stessi si hanno più difficoltà. Di fronte al fatto incontestabile che la vita che hai di fronte è inferiore a quella che hai dietro di te, la fatica di vivere non è tanto diversa da quella che si ha a vent’anni. Anzi, a vent’anni talvolta si hanno più difficoltà perché non si conosce il mondo. Quando si invecchia, la fatica è quella di accettare e stare bene lo stesso, anche se si sa che poi c’è un confine che non è definito, ma c’è.
IL LIBRO
Rosa è una ragazza in gamba. Viene dalla provincia. A vent’anni sbarca a Roma per laurearsi e cercare un lavoro. È la vigilia Sessantotto e Roma è invasa dall’energia del movimento studentesco. Per lei, studio e impegno politico. Da giovane acerba, si trasforma in una donna alle prese con amore, amicizie, i grandi classici del marxismo e un movimento che vuole cambiare il mondo. È lì che incontra un’altra Rosa, Rosa Luxemburg, e con lei intreccia un rapporto serrato con momenti di complicità e di rottura, di immedesimazione e di lontananza.
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