Nel penitenziario di Rebibbia c’è una torrefazione dove lavorano detenuti, si chiama ‘Caffè Galeotto’. Anche nella Casa circondariale femminile di Pozzuoli ce n’è una, si chiama ‘Lazzarelle’. Storie che raccontano le più belle sfide (vinte) dell’inclusione e del reinserimento lavorativo
Alle otto del mattino sono già in torrefazione i detenuti di Rebibbia Nuovo Complesso, pronti a lavorare fino a mezzogiorno e poi a riprendere dopo pranzo fino al pomeriggio. Sono specializzati in due mansioni differenti: c’è chi miscela il caffè e chi si occupa di revisionare e manutenere le macchinette. Da più di dieci anni, il ‘Caffè Galeotto’ è per tanti detenuti il simbolo del riscatto sociale. Lo sa bene Mauro Pellegrini, presidente di Pantacoop, la cooperativa sociale che da ventitré anni si occupa di formazione e inserimento delle persone detenute e socialmente svantaggiate. Tante le attività progettate fino ad ora nella casa circondariale romana. «Al penale abbiamo aperto una fabbrica di infissi in alluminio, con i detenuti del reparto di Alta sicurezza lavoriamo al recupero crediti per conto di Autostrade per l’Italia. Questa più di tutte è stata una sfida importante – ricorda Pellegrini – perché non è stato facile far capire, soprattutto alle istituzioni, che i detenuti lavorano con una rete Lan che non ha accesso a internet». Nello specifico, i detenuti acquisiscono le informazioni messe a disposizione da Autostrade per l’Italia circa le targhe delle auto registrate al casello che non hanno effettuato operazioni di pagamento: le lavorano e poi le rispediscono ad Autostrade. Nel 2012, le carceri del Lazio erano le uniche in Italia a non avere una torrefazione al proprio interno: «Ho svolto un’indagine di mercato e ho visto che imparare a fare il caffè era una professione richiesta nel mondo del lavoro», aggiunge Pellegrini. E così a proprie spese, Pantacoop allestisce una torrefazione all’interno di Rebibbia Nuovo Complesso. «In collaborazione con il reparto educativo della direzione, affiggo un avviso e chiedo la possibilità di avere detenuti a lavorare: la direzione seleziona coloro che hanno fatto un percorso educativo e mi sottopone una rosa di candidati. Dopo il colloquio, se la persona è idonea e motivata a lavorare, inizia l’affiancamento. Durante questo periodo ne valutiamo soprattutto l’atteggiamento. Se tutto va bene, il detenuto viene assunto», spiega Pellegrini. Attualmente in torrefazione sono impiegate otto persone. Un numero destinato a crescere soprattutto grazie ai progetti di formazione che Pantacoop ha in cantiere, come quello della manutenzione dei distributori che prevede competenze più complesse per la manutenzione di macchine che producono bevande calde e fredde. Il ‘Caffè Galeotto’ – frutto di un accurato procedimento di lavorazione che prevede la selezione della miscela, la tostatura dei chicchi di circa 20 minuti, il passaggio della spietratrice per eliminare le pietruzze, il riposo di tre giorni prima della macinazione e l’imbustamento dopo altri giorni di riposo, conquista anche il palato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in visita alla Torrefazione. «È stato un momento molto emozionante, è stato bello ricevere i suoi complimenti – conclude Mauro -, la soddisfazione più grande per me resta il fatto che, in ventitré anni di impegno, sono passati da noi tantissimi detenuti e solo uno di loro, una volta fuori, ha commesso un reato. Per chi impara un mestiere in carcere la possibilità che torni a commettere reati, quindi la recidiva, è prossima allo zero».
Più a sud del penitenziario di Rebibbia, in Campania, c’è la Casa circondariale femminile di Pozzuoli. Anche qui è nata una torrefazione grazie all’idea di Imma Carpiniello e un gruppo di donne impegnate nel carcere che nel 2010 decide di fondare la cooperativa ‘Lazzarelle’. «Da donne libere abbiamo scelto di impegnarci attivamente in una impresa tutta femminile che valorizzi i saperi artigianali e generi inclusione sociale. Perché solo il lavoro offre dignità e possibilità di riscatto reale. Il caffè delle Lazzarelle è nato mettendo insieme due soggetti deboli: le donne detenute e i piccoli produttori di caffè del sud del mondo. Acquistiamo i grani di caffè dalla cooperativa Shadhilly che promuove progetti di cooperazione con i piccoli produttori», fanno sapere dalla cooperativa che in questi anni ha visto passare circa 70 donne lavoratrici. Le Lazzarelle – che in Galleria Principe di Napoli, al civico 25, di fronte al MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) hanno aperto un uno spazio dove, attraverso cibo sano e sostenibile e il piacere di bere un ottimo caffè, si partecipa attivamente all’empowerment di donne detenute ed ex detenute – sono impegnate anche in altri progetti che puntano all’inclusione. A proposito del bistrot, dalle pagine del portale che ne racconta la storia, si legge: “Il desiderio è quello di diventare un punto di riferimento culturale e di far conoscere il progetto Lazzarelle attraverso i prodotti dell’economia carceraria. Ogni prodotto rappresenta una persona ed una storia da raccontare”. Nel 2023, Carpiniello è stata nominata cavaliere dell’Ordine al Merito da Sergio Mattarella. Ad oggi, il 90% delle “Lazzarelle”, una volta terminato il periodo di detenzione, non è tornato a delinquere.
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